Nota a sentenza Accesso open access Data pubblicazione: 11/12/2022
Data pubblicazione: 11/12/2022

Le sezioni unite sull’inapplicabilità della messa alla prova dell’ente

Abstract

La Corte di Cassazione torna sul tema dell’applicabilità dell’istituto della messa alla prova all’ente, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale che negli ultimi anni ha visto orientamenti opposti dare origine a differenti pronunce.
Con l’informazione provvisoria n.17 del 27/10/2022 la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: «l’istituto della messa alla prova (art.168-bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001».


The Supreme Court deals again with the issue of the possibility for an entity to resort institution of probation; with this decision the Supreme Court put an end to the jurisprudential contrast which in recent years has seen opposing orientations give rise to different rulings.
With provisional information n. 17 of 10/27/2022, the Supreme Court affirms the following principle of law: «the institution of probation (art.168-bis of the criminal code) does not apply with reference to the entities indicated into d.lgs. 231/2001».


Parole chiave: messa alla prova, ente, decreto legislativo 231/01, inapplicabilità.

1. Il caso


In tema di applicabilità dell’istituto della sospensione del processo con la messa alla prova, era stata rimessa alle Sezioni Unite dalla Quarta sezione della Corte di Cassazione la seguente questione di diritto:

se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova ai sensi dell’art. 464-bis c.p.p. nonché, in caso affermativo, per quali motivi la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell’art. 464- septies c.p.p.

All’esito dell’udienza tenutasi in data 27 ottobre 2022, le Sezioni Unite hanno affermato testualmente:

il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 7 c.p.p., ad impugnare l’ordinanza di ammissione alla prova (art. 464-bis c.p.p.) ritualmente comunicatagli ai sensi dell’art. 128 c.p.p. In conformità a quanto previsto dall’art. 586 c.p.p., in caso di omessa comunicazione dell’ordinanza, è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova. L’istituto dell’ammissione alla prova (art. 168 -bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.


2. L’istituto della messa alla prova


L'istituto della messa alla prova introdotto con la legge n. 68 del 28 aprile 2014 costituisce una nuova causa di estinzione del reato e al tempo stesso un nuovo procedimento speciale. Consiste nella realizzazione di condotte volte all'eliminazione di conseguenze dannose derivanti dal reato1 nonché, ove possibile, nel risarcimento del danno, nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale e infine nella prestazione di lavoro di pubblica utilità. In species il trattamento consta nell'affidamento dell'imputato all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) affinché svolga determinate attività che consistono nello svolgimento con dedizione e diligenza di un lavoro di pubblica utilità, ovviamente a titolo gratuito e a favore della collettività intera, nonché nella piena riparazione delle conseguenze dannose che siano scaturite dal reato. È altresì obbligo dell'imputato provvedere a risarcire il danno cagionato con la sua condotta criminosa. Normalmente, accanto alle sopraindicate attività, il trattamento può prevedere che vengano imposti determinati obblighi all'imputato (divieto di frequentare determinati luoghi, ecc.) a cui si aggiunge il necessario e costante contatto con l'ufficio di esecuzione penale, prodromico al reinserimento sociale. La norma alla quale fare riferimento per comprendere la portata dell'istituto de quo è l'art. 168 bis c.p.p. il quale dispone, al comma 1, che

Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

Il comma 1 del predetto articolo consente di comprendere quali siano le condizioni che legittimano la richiesta della messa alla prova, mentre il comma 2 dispone che «La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato». Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali con la finalità del reinserimento dell'imputato e alla sua provvida reintegrazione. Condizione sine qua non per presentare richiesta di messa alla prova è che si proceda per reati che siano puniti con la sola pena edittale che non sia superiore (se detentiva) nel massimo a quattro anni, sia essa congiunta o alternativa alla pena pecuniaria. Ai sensi dell'art. 168 bis comma 4 la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta e può essere formulata dall'imputato personalmente o a mezzo di procuratore speciale entro determinati termini2, in particolare, può essere richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni o sino all'apertura del dibattimento in primo grado, oltre che nel giudizio direttissimo, e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Laddove all'imputato fosse notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta può essere trasmessa nelle forme ed entro i termini di cui all'art. 458 comma 1 c.p.p.:

l'imputato, a pena di decadenza, può chiedere il giudizio abbreviato depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta, con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato.

Qualora invece si proceda con decreto penale di condanna la richiesta deve essere presentata in sede di opposizione. Infine l’art. 168 ter c.p.p. prevede espressamente che durante il periodo di sospensione del procedimento il corso della prescrizione del reato è sospeso e che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. Con l’entrata in vigore della Riforma Cartabia3 la sospensione del processo con la messa alla prova potrà essere proposta dal Pubblico Ministero a seguito della chiusura delle indagini preliminari con la possibilità per l’indagato di accettare il rito nel termine di venti giorni. Nella citazione diretta il termine decadenziale per richiedere l’ammissione è fissato alla conclusione dell’udienza predibattimentale. È prevista infine la possibilità di accedere a percorsi di giustizia riparativa.


3. Profili di applicabilità all’ente: le oscillazioni della giurisprudenza


La questione relativa all’applicabilità dell’istituto all’ente ha interessato tanto la giurisprudenza di merito tanto quella di legittimità le quali hanno oscillato su tesi contrapposte: l’una che ne ha negato l’accesso e l’altra che ha dato spazio a un’interpretazione in chiave evolutiva delle disposizioni del decreto 231, applicando la diversion processuale all’ente4.
Per la tesi negazionista si richiama l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 marzo 20175, con la quale i giudici di merito respingevano la richiesta della difesa dell’ente, in un caso di infortunio sui luoghi di lavoro, di essere ammesso al rito deflattivo, escludendo che l’istituto della messa alla prova potesse ivi trovare applicazione.
Il Tribunale di Milano motiva il rigetto dalla richiesta della difesa dell’ente partendo dall’assunto che nessuna norma di cui agli artt. 168-bis c.p., 464-bis c.p.p. (e neppure del d.lgs. 231/2001) prevede espressamente che l’ente possa giovarsi dell’istituto, riconosce che la messa alla prova ha una dimensione prettamente ibrida che racchiude in sé sia profili di diritto processuale sia aspetti più schiettamente sostanziali: «la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio» e «realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita».
Stante la natura sostanziale dell’istituto, il Tribunale richiamava i corollari del principio di legalità ex art. 25, comma 2 Cost. in materia penalistica, affermando che:

in assenza, de jure condito, di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui agli artt. 168 bis c.p. alla categoria degli enti, ne deriva che l’istituto in esame, in ossequio al principio di riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.

In merito al principio di riserva di legge richiamato Tribunale di Milano cosi precisava: «mentre il principio della riserva di legge può, a certe precise e limitate condizioni, essere relativo quanto alla descrizione del precetto, esso ha carattere assoluto quanto all’individuazione della pena» e continua sostenendo come

la sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva non può essere rinvenuta attraverso l’interpretazione analogica. In caso contrario l’interprete della legge si trasformerebbe in legislatore con marcata incidenza negativa sia sul principio di certezza sia sulla stessa efficacia determinante delle disposizioni penali coinvolte in siffatta operazione interpretativa, diretta a correlare, con l’intervento del giudice il comportamento del soggetto attivo del reato ad una pena non costituente oggetto di specifica comminatoria legislativa (Cass. SS.UU., 26 maggio 1984, n. 5655).

La decisione del Tribunale di Milano di negare l’accesso dell’ente alla messa alla prova, assestandosi su posizioni interpretative ben consolidate nel panorama giurisprudenziale in materia di responsabilità da illecito, ha opposto un chiaro rifiuto al tentativo di adottare un approccio differente al sistema punitivo degli enti, ritenendo necessario preservare il valore della specialità delle previsioni del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rispetto alla disciplina che concerne la responsabilità penale delle persone fisiche.
Di diverso avviso il Tribunale di Modena che con ordinanza dell’11 dicembre 2019 e successiva sentenza del 19 ottobre 2020 aveva ammesso l’ente alla sospensione del procedimento con la messa alla prova6, così come l’ordinanza del Tribunale di Bologna7 e più recentemente l’ordinanza del Tribunale di Bari8 del 16 giugno 2022 che conferma tale secondo orientamento.
Il Tribunale di Bari con l’ordinanza in esame ha ammesso una società alla messa alla prova in considerazione del fatto che l’applicazione dell’istituto de quo non determina alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge tantomeno di analogia in quanto:

l’applicazione analogica dell’istituto della messa alla prova non contrasta col principio di tassatività della legge penale, poiché è in bonam partem attribuendo ulteriori chances difensive all’ente- imputato, che, tramite la volontaria sottoposizione a un programma trattamentale, ben potrebbe sottrarsi al giudizio ordinario e quindi alla eventuale applicazione di sanzioni anche afflittive.

Il Tribunale ha ritenuto l’istituto in esame compatibile con il sistema 231, evidenziando che non sussiste violazione alcuna dei principi sopra richiamati dal momento che il divieto di analogia opera solo quando genera effetti sfavorevoli per l’imputato, in virtù della ratio del principio di legalità – di cui il principio di tassatività costituisce corollario – volto a garantire la libertà personale del cittadino a fronte di possibili arbitri del potere esecutivo e giudiziario. L’ordinanza prosegue altresì evidenziando come non vi sia incompatibilità tra l’istituto della messa alla prova e le finalità del d.lgs. n. 231/01 individuate non nella retribuzione fine a se stessa, ma nella prevenzione speciale in chiave rieducativa:

si vuole indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentono il superamento del conflitto sociale instaurato con l’illecito, nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che incidendo strutturalmente sulla cultura d’impresa, possano consentirgli di continuare a operare sul mercato nel rispetto della legalità o meglio di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità (ne costituiscono un chiaro esempio le disposizioni di cui agli artt. 6, 12 e 17 del d.lgs 231/01).

L’ammissibilità della messa alla prova dell’ente non determina neppure l’elusione dell’art. 17 d.lgs. 231/01, atteso che l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova.
Tale articolo, difatti, stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente ponga in essere delle condotte riparatorie, mentre la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando attività di volontariato sociale e prestazioni di pubblica utilità.
Infine, in ordine alla necessità per l’ente di dotarsi di un modello organizzativo al fine di poter accedere alla messa alla prova i giudici di merito osservano come la finalità rieducativa dell’istituto non viene meno tutte le volte in cui l’ente si doti del modello organizzativo prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quand’anche ciò avvenga dopo la commissione del reato presupposto.


4. Riflessioni a margine


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto fine – non senza criticità – al contrasto giurisprudenziale fotografato dalle pronunce passate in esame, con particolare riguardo alla recente modifica dell’istituto ad opera della l. 27 settembre 2021, n. 134 (Riforma Cartabia).
La finalità deflattiva e premiale di detta modifica avrebbe permesso, se applicata all’ente, non solo di chiudere il procedimento penale in maniera veloce e favorevole per quest’ultimo, ma di recuperare la propria dimensione di premialità legata all’adozione di modelli organizzativi ex post che possano permettere all’ente il reinserimento all’interno del mercato concorrenziale. Nell’esperienza americana l’ente, al fine di evitare la prosecuzione del processo, si sottopone a un periodo di “osservazione” (in genere, da sei mesi a due anni) nel corso del quale si impegna ad adempiere una serie di obblighi, quali, tra gli altri, l’adozione o l’implementazione del proprio compliance program, talora sotto il controllo di commissari esterni (monitor), il versamento di una somma di denaro a vario titolo (financial penalty, risarcimento del danno, donazioni a istituzioni pubbliche o private di beneficenza) e la messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca. La messa alla prova per l’ente dovrebbe rappresentare una nuova possibilità di reinserimento nel mercato economico dopo aver riacquisito le caratteristiche di legalità, efficienza e trasparenza, grazie all’adozione di quei correttivi che gli consentono di prevenire future condotte delittuose.
La decisione della Cassazione – di cui sarà interessante comprendere le motivazioni che saranno oggetto di ulteriore analisi – stride ancor di più se si pensa alla logica sottesa alla disciplina organica della giustizia riparativa9 che, nelle scelte del legislatore, interesserà non solo le persone fisiche ma anche gli enti. E dunque come si concilierà con questo arresto del giudice di legittimità?
In tale direzione la chiusura del caso Airbus in Francia10 riapre la discussione sulla messa alla prova dell’ente anche in Italia. Il Tribunale giudiziario di Parigi, il 30 novembre 2022, ha infatti convalidato una Convenzione giudiziaria di interesse pubblico (CJIP) a termine dell’indagine aperta nel 2016 contro il costruttore europeo di aerei, sospettato d’uso irregolare di consulenti per garantirsi appalti nel settore dell’aviazione civile. Detta Convenzione, stipulata tra il Parquet national financier (Pnf) e Airbus (ai sensi degli articoli 41-1-2 e 180-2 del Codice di procedura penale francese) per i presunti fatti di corruzione in Libia e Kazakistan, rappresenta l’estensione di una precedente Convenzione giudiziaria del 2020, in base alla quale il colosso dell’aeronautica si era già impegnato a pagare un’ammenda di circa 2 miliardi di euro e a sottoporsi a un “programma di conformità” di 3 anni sotto la supervisione dell’Agenzia anticorruzione.
Si arricchisce così la giurisprudenza sull’istituto, d’ispirazione nordamericana e introdotto in Francia nel 2016, che consente al Procuratore della Repubblica di proporre alla società accusata dell’illecito un accordo con le seguenti caratteristiche: versamento al Tesoro di una sanzione (proporzionale ai vantaggi ottenuti dalle violazioni, fermi alcuni limiti relativi al fatturato); sottoposizione a un programma di ripristino della legalità; indennizzo alle persone offese.
Dall’esempio francese arriva, quindi, una spinta a considerare la riorganizzazione virtuosa dell’ente come un momento cruciale nell’approccio alla prevenzione al corporate crime che è di benefico non solo per il singolo ente ma per le persone offese e per tutta la collettività.
Orbene, in tale direzione sarebbe utile dare spazio a quell’interpretazione in chiave evolutiva delle disposizioni del “decreto 231”, richiamando l’art. 49 del d.lgs. 231/01 che prevede espressamente la sospensione delle misure cautelari nelle ipotesi in cui la società o l’ente chieda al giudice di poter realizzare gli adempimenti di cui all’art. 17 d.lgs. 231/2001 relativi alle condotte riparatorie. E dunque attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 49 cit. che sospende le misure cautelari l’ente potrebbe accedere alla messa alla prova, chiedendo la sospensione del procedimento e qualora la probation abbia successo ottenere l’estinzione dell’illecito amministrativo. Un meccanismo simile è contenuto anche nell’art. 65 del d.lgs. 231/01 che prevede che la società e/o l’ente prima della dichiarazione di apertura del dibattimento possa richiedere al giudice la sospensione del processo per provvedere ad attività riparatorie previste nell’art. 17 del decreto.
Pertanto l’ente potrebbe chiedere la messa alla prova già nella fase delle indagini preliminari proprio nell’ipotesi di applicazione di una misura cautelare che gli consentirebbe di riorganizzarsi in maniera virtuosa in modo da definire sia la vicenda cautelare sia il merito. La richiesta dovrebbe essere motivata attraverso la presentazione di un progetto di riorganizzazione dell’ente efficace ed efficiente, in grado di superare le problematiche che hanno indotto il giudice a ritenere il modello organizzativo inadeguato a prevenire i rischi di commissione dei reati.


Bibliografia

Note
  • 1

    Sull’istituto della messa alla prova dell’ente si veda, F. Di Muzio, La messa alla prova nel procedimento penale degli enti. Quali prospettive?, in il Penalista, Milano, 2017, p. 1 e ss.

  • 2

    La Riforma Cartabia nel novellato art. 464 bis c.p.p prevede che la sottoscrizione debba essere autenticata nelle forme previste dall’art. 583 comma 3, da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore.

  • 3

    G. Spangher, La riforma Cartabia, Pisa, 2022, 725.

  • 4

    F. Di Muzio, op. cit.

  • 5

    Trib. Milano, ordinanza, 27 marzo 2017, n. 13844.

  • 6

    G. Garuti, C. Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione con cui il Tribunale ha ammesso la persona giuridica al probation, in Giur. pen., 10, 2020, 1 s.

  • 7

    L.N. Meazza, Messa alla prova e persone giuridiche: una nuova pronuncia del Tribunale di Bologna, in Giur. Pen., 2020, 1 s.

  • 8

    F. Di Muzio, Responsabilità 231 e messa alla prova. Il Tribunale di Bari ammette l’ente, in www.generazione231.it, 2022, 1 s.

  • 9

    M. Monzani, F. Di Muzio, La Giustizia riparativa dalla parte delle vittime, Milano, 2018, 61 s.

  • 10

    L. Luparia, Dlgs 231, il caso Airbus fa riflettere sulla messa alla prova delle imprese, in NT+Diritto, 2022 (passim).

Informazioni

Cita come: F. Di Muzio, Le sezioni unite sull’inapplicabilità della messa alla prova dell’ente, in Rivista di Diritto Penale di Impresa 1/2022, 85-93. DOI: 10.35948/RDPI/2023.13

Data propostaData validazioneData pubblicazione
10/11/202215/11/2022 11/12/2022

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