Nota a sentenza
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Data pubblicazione: 25/07/2022
La Corte di Cassazione torna sulla delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, in particolare, sui presupposti e i requisiti cui è subordinata l’efficacia liberatoria della posizione di garanzia a titolo originario e di vertice dell’organizzazione. Nel caso specifico, in capo al datore di lavoro di un’impresa edile, a fronte di contravvenzioni contestate nel cantiere ove questa operava, la responsabilità per i reati ascritti viene confermata nonostante la diligente designazione da parte sua di tutti i ruoli di cui la normativa vigente in materia impone la nomina (incluso il coordinatore della sicurezza e il preposto al montaggio di ponteggi). Si ritiene, infatti, che tali nomine siano insuscettibili di provocare una devoluzione della responsabilità penale alla stregua della delega di funzioni, questo perché la designazione costituisce solo l’adempimento parziale del debito di garanzia del datore di lavoro, alla cui integrale ottemperanza concorrono gli altri soggetti che sono direttamente destinatari di ulteriori obblighi di legge già in via originaria e non derivata.
Parole chiave: Delega di funzioni, Sicurezza sul lavoro, Posizione di garanzia, Garante originario, Garante derivato
The Suprem Court returns to the delegation of functions in the field of health and safety at work and, in particular, to the conditions and requirements to which the release effectiveness of the original and top management position of guarantee is subject. In the specific case, despite the diligent designation by him of all the roles which the current legislation requires the appointment (including the safety coordinator and the person in charge of scaffolding assembly), the responsibility of the employer of a company construction for the crimes committed on the construction site was confirmed. It is believed, indeed, that such appointments are unable to provoke a devolution of criminal responsibility such as the delegation of functions, this is because the designation constitutes only the partial fulfillment of the employer's guarantee debt, whereas the full compliance is ensured by the afrorementioned appointed subjects who are directly bound by the law.
Keywords: Delegation of functions, Health and safety on work, Position of guarantee, Original guarantor, Derivative guarantor
Con la pronuncia in disamina la Suprema Corte è tornata a discutere dell’efficacia della delega di funzioni in relazione alle posizioni di garanzia a titolo originario1.
Il legale rappresentante di una società del settore edile veniva condannato, nella precedente fase di merito, per alcuni fatti contravvenzionali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, accertati nel cantiere dove l’impresa stava operando mediante propri ausiliari e lavoratori.
Dai fatti processualmente accertati emerge che l’impresa avesse provveduto alla designazione delle persone incaricate di assumere i ruoli che la normativa vigente nel settore2 pone l’obbligo di nominare al ricorrerne dei presupposti: il direttore (tecnico) dei lavori, il coordinatore per la sicurezza in cantiere, il preposto, gli addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi3.
Si apprende dalla sentenza in commento che, proprio i due ruoli tipizzati dal d.lgs. n. 81/2008 (il c.d. T.U. sulla sicurezza e salute dei luoghi di lavori), ossia il coordinatore e il preposto, avessero fatto ricorso all’oblazione e, pertanto, il reato ascritto nei loro confronti veniva dichiarato estinto.
Al collegamento della propria posizione – quella del datore di lavoro – con quella del coordinatore e del preposto, si ricollegano le questioni di maggior interesse affrontate dalla sentenza.
Il primo motivo di interesse della sentenza riguarda i criteri utili all’individuazione in concreto della posizione di garanzia, il cui ruolo è tipizzato nella normativa settoriale.
Nel caso di specie, il datore di lavoro è individuato nel legale rappresentante della società che gestisce l’attività d’impresa. Si può assumere che il modello di amministrazione e l’assetto organizzativo e gestionale della società fossero tali da rendere ineccepibile l’attribuzione all’imputato della qualifica di datore di lavoro secondo la definizione che di questo ruolo di garanzia fornisce il Testo Unico Sicurezza4, rivestendo egli in ipotesi la carica di amministratore unico.
L’individuazione in concreto delle persone che, in ragione delle cariche da esse rivestite nell’assetto organizzativo vigente nella società, rispecchino i connotati dei ruoli di garanzia così come descritti in astratto dalla normativa, a cominciare da quello di vertice, ossia il datore di lavoro, rappresenta l’oggetto di un’indagine spesso complessa.
Nell’elaborazione del diritto penale d’impresa, l’obiettivo è quello di evitare responsabilità c.d. di posizione con la creazione artificiosa di centri di imputazione della responsabilità penale. Di qui l’esigenza che l’azione penale venga esercitata nei confronti dei soli soggetti davvero in grado per i loro poteri e per la loro posizione di influire sui fatti e sulle funzioni chiamati in causa dalla violazione della norma penale. E ciò anche per garantire che la tutela delle posizioni protette sia affidata a coloro che sono in grado di governare i fattori di rischio5.
La teoria interpretativa definita come formalista (o formale-civilista6), orientata a individuare i destinatari principali degli obblighi di sicurezza sulla base di criteri civilistici di natura formale (ad esempio, il soggetto titolare dei rapporti di lavoro), muove da analoghi presupposti: l’allocazione della posizione di garanzia viene fatta discendere, esclusivamente e inderogabilmente, dalla considerazione di quale sia il ruolo formalmente assunto nell’organizzazione. Secondo tale indirizzo la qualifica soggettiva, essendo elemento essenziale della struttura tipica del fatto di reato, giustifica che le tecniche di individuazione dei soggetti attivi nell’ambito della legislazione lavorista siano sufficienti per individuare la posizione di garanzia.
Alternativa concezione, quella funzionalista (o oggettivo-fattuale7), individua il soggetto attivo in colui che eserciti di fatto la funzione che caratterizza la condotta tipica del precetto penale, aprendosi perciò all’ipotesi che altri sia persona imputabile, se e in quanto dell’originario garante abbia una posizione identica sotto il profilo del dovere e del potere.
La più recente normativa sembra orientata a richiedere l’applicazione di ambedue i criteri sopra accennati, non accontentandosi della qualifica formale, ma richiedendo anche che la posizione effettivamente ricoperta si traduca in una concreta attribuzione di poteri decisionali e di disponibilità di spesa8.
Esulando i confini della presente nota l’approfondimento ulteriore delle ricostruzioni appena richiamate9, è sufficiente notare che la posizione di garanzia “primaria” veda come destinatario l’imprenditore/datore di lavoro10. Nella sentenza in commento la posizione di garanzia che viene attribuita all’imprenditore/datore di lavoro, dunque, è ritenuta idonea ad orientare l’indagine sulla imputabilità del fatto in ambito penale: in forza della sua posizione, della disponibilità di poteri e della capacità di incidere sull’organizzazione e sullo svolgimento dell’attività produttiva11.
Ora, sebbene il caso preso in esame dalla sentenza in commento si presenti come non particolarmente complesso nella sua dimensione fattuale, esso richiama i termini di una questione, più generale, assai rilevante: l’individuazione dei ruoli di garanti a titolo originario e quelli, eventuali, a titolo derivativo (delega).
Sotto questo profilo, l’interprete è chiamato a ricostruire non solo in via letterale ma anche in via sistematica il perché della scelta del legislatore, nella materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, della tipizzazione normativa di molteplici ruoli di garanzia “a titolo originario”.
Un unicum, questo, nel panorama della tecnica legislativa.
Solo nella materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, infatti, si possono contare così tanti ruoli (taluni ordinati anche gerarchicamente tra loro) definiti come garanti di distinti oneri di prevenzione e protezione: datore di lavoro, dirigente, preposto, responsabile lavori, ognuno in ipotesi coadiuvato, ciascuno a diverso titolo, dal servizio di prevenzione e protezione, coordinatori per la sicurezza (in fase di progettazione e/o di esecuzione), ecc.
Nulla di paragonabile ad altre materie ove, analogamente, il legislatore attribuisce all’ente (e.g. impresa, società) l’obbligo di adoperarsi affinché sia realizzata la miglior tutela ragionevolmente disponibile per i beni superiori che della norma sono la ratio. Basti pensare alla tutela dell’ambiente, dove non si rinviene nessun ruolo di garanzia tipizzato se non quello, generico e dal significato nemmeno univoco, di “gestore”; e ancora, nel campo della tutela della privacy e protezione dati non si ritrova nemmeno più la figura del “responsabile del trattamento dati” che, vigente il vecchio Codice della privacy e quindi prima dell’entrata in vigore del Regolamento europeo noto come “GDPR”, era un ruolo (interno) per certi versi tipizzato come garante della conformità normativa dei trattamenti rispetto ai quali il responsabile aveva il potere di definirne le finalità e i mezzi; e, in ultimo, si pensi alla tutela dell’igiene e sicurezza alimentare, nella cui normativa di riferimento, si trova solo un accenno al ruolo di “operatore del settore alimentare”, ruolo che, peraltro, si deduce possa essere rivestito dall’imprea alimentare in quanto tale (persona giuridica) anziché necessariamente da un intraneo ad essa (persona fisica).
Datore di lavoro è, dunque, il vertice dell’organizzazione e gestione dei fattori produttivi, in quanto esercita su entrambe le dimensioni poteri decisionali e di spesa; restando egli (o la società di cui egli rappresenta organicamente il vertice), il titolare del rapporto di lavoro con i singoli lavoratori, dipendenti e non.
La sentenza in rassegna difetta di un approfondimento sulla questione, risultando l’imputato inquadrato come datore di lavoro in quanto legale rappresentante della società.
L’attribuzione del ruolo (datore di lavoro) esclusivamente in base al dato ricavabile dallo statuto dell’ente (i.e.: legale rappresentanza), potrebbe in altri contesti, magari più complessi di quello oggetto del caso in commento, essere fuorviante.
La coincidenza tra il concetto di legale rappresentanza e il ruolo di datore di lavoro in materia antinfortunistica (e quindi l’imputabilità dei fatti di reato) rappresenta un’argomentazione ormai superata, a meno che a questa si accompagni altro potere organizzativo e gestionale di vertice. Sarebbe questo il caso (peraltro frequente), ad esempio, del Presidente del consiglio di amministrazione sfornito di specifici poteri gestori.
Datore di lavoro è, infatti, il vertice dell’organizzazione e gestione dei fattori produttivi, in quanto esercita su entrambe le dimensioni poteri decisionali e di spesa; restando egli (o la società di cui egli rappresenta organicamente il vertice), il titolare del rapporto di lavoro con i singoli lavoratori, siano dipendenti o meno.
Altra questione di interesse trattata dalla sentenza riguarda la suscettibilità, o meno, di provocare la liberazione del datore di lavoro dalla responsabilità penale contestatagli nella contravvenzione, per avere egli provveduto, diligentemente, alla nomina di tutte le figure di profilo tecnico previste dalla legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro, anche e nello specifico ambito dei cantieri edili.
L’imputato, infatti aveva diligentemente provveduto alla designazione degli altri ruoli di gestione del rischio e della prevenzione e protezione in materia (coordinatore e preposto), e su questa base si fonda l’argomento secondo il quale detto adempimento avrebbe dovuto escludere il profilo di responsabilità penale per la contravvenzione ascrittagli in qualità di datore di lavoro.
Quasi a dire, in altri termini, che l’aver ottemperato all’obbligo di designazione delle persone nei ruoli che la norma obbliga il datore di lavoro di nominare, avrebbe dovuto implicare l’accertamento dell’avvenuto soddisfacimento della clausola di garanzia correlata al proprio ruolo (datore di lavoro a titolo originario), sì da costituirlo “debitore” nei confronti del lavoratore per la tutela della sua salute e sicurezza e, al tempo stesso, soggetto imputabile per la violazione della norma penale.
Anche al netto della mancata conoscibilità di alcuni fatti accertati oggetto dell’accertamento processuale nell’antecedente fase di merito, la questione che si pone riguarda la possibilità che gli incarichi conferiti al coordinatore della sicurezza e al preposto abbiano la capacità di escludere la responsabilità penale a carico del datore di lavoro che proprio quei ruoli ha costituito. Una volta nominati sarebbero essi, in luogo dell’altro, i necessari ma anche sufficienti garanti dell’adempimento degli obblighi di sicurezza nel cantiere in cui avviene l’accertamento della contravvenzione.
La sentenza nega questa ipotesi e ne esplicita il perché sotto un duplice profilo.
Il primo richiama il fatto che la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro individua specificamente gli obblighi penalmente sanzionati con riguardo a ciascuna delle diverse posizioni di garanzia che vengono in rilievo. Non v'è dubbio, pertanto, che ciascuno risponda delle violazioni a sé propriamente imputabili.
Avuto riguardo ai cantieri temporanei o mobili, le misure dettate a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (come noto nel titolo quarto del Testo Unico Sicurezza), prevedono specifiche sanzioni per l’inadempimento degli obblighi incombenti su ciascuno dei ruoli, ossia obblighi e sanzioni per i datori di lavoro, altrettanto per i coordinatori (per la progettazione o l'esecuzione dei lavori) e altrettanto ancora per i preposti.
Ne deriva, pertanto, che le persone che ricoprono ciascuno di detti ruoli restino esposte alla pena prevista per l’inadempimento a ciascuno di essi imputabile.
Il secondo profilo rimanda all’ipotesi in cui, per talune violazioni, ricorrono i presupposti per l’accertamento di un concorso di responsabilità in capo a diversi e distinti garanti.
Del resto, la tipizzazione di una molteplicità di ruoli rappresenta, per il legislatore della materia antinfortunistica, una scelta funzionale alla promozione della cooperazione tra ruoli diversi e ciascuno contraddistinto da livelli di potere diversificati (sulle scelte organizzative e gestionali), differenti gradi di competenze tecniche, maggiore vicinanza ai fattori di rischio, ecc. Il tutto allo scopo di consentire un’attività di prevenzione, o almeno protezione del bene giuridico rappresentato dalla salute e sicurezza sul luogo di lavoro, nel modo più organico, compartecipato e adeguato possibile.
Tale cooperazione, e il coordinamento che resta onere precipuo del vertice, permea di per sé la struttura logica, e anche cronologica, dei precetti descritti nel Testo Unico Sicurezza.
L’onere, ad esempio, di procedere alla nomina del coordinatore per la sicurezza nelle due distinte fasi in cui di norma si articola il processo di progettazione e, poi successivamente, di esecuzione dell’opera edile, è l’esempio calzante del perché il legislatore abbia voluto rappresentare in un’articolazione logica e cronologica l’onere del vertice (committente o datore di lavoro) di affidare ad altro soggetto diverso da sé il coordinamento delle varie fasi di lavoro, assumendo che essa richieda competenze tecniche maggiori di quelle altrimenti riconducibili al datore di lavoro, e innescando anche con esso una virtuosa contrapposizione di interessi, idonea a garantire nel modo più efficace la verifica del livello di adeguatezza della gestione dei rischi e dell’adempimento delle misure di prevenzione e protezione ad esse correlate.
Dunque, argomentare che il vertice (datore di lavoro o, anche, committente) possa escludere ogni profilo di rilevanza penale derivante dalla propria posizione in virtù della nomina dei ruoli la cui designazione in concreto forma uno (tra gli altri) dei propri obblighi a titolo originario, significa porsi al di fuori della logica del dato normativo. Quelle nomine, infatti, malgrado possano apportare maggior competenza tecnica nella gestione dei fattori di rischio presenti nel luogo di lavoro (coordinatore sicurezza) o, altrimenti, una maggior vicinanza alle fonti di detti rischi e, quindi, maggior capacità di incidere nell’immediatezza di un rischio attuale a richiamare i lavoratori alla necessità di adottare i comportamenti previsti per tali casi a tutela degli stessi (preposto), sono insuscettibili di provocare una devoluzione della responsabilità di fronte alla legge penale. Dal punto di vista del datore di lavoro, le nomine rappresentano soltanto l’adempimento di una quota frazionale del proprio debito di garanzia, all’adempimento complessivo del quale i ruoli da esso incaricati concorrono in base ad un proprio e specifico dovere, anch’esso riveniente dalla norma.
Si è detto che nel caso in esame gli altri ruoli coinvolti nella contravvenzione, tanto il professionista incaricato come coordinatore per la sicurezza quanto il preposto, avevano estinto i reati loro contestati ricorrendo all'oblazione.
Si pone allora la questione se l’estinzione della contravvenzione sopraggiunta in relazione alle altre posizioni di garanzia possa produrre l’estinzione della medesima contravvenzione anche in capo all’unico imputato rimasto, ossia il datore di lavoro.
La risposta è senz’altro negativa.
Nella sentenza in commento viene ricordato che nel caso specifico la responsabilità ascritta al datore di lavoro deriva dal “fatto proprio”. Il che significa che detta responsabilità si aggiunge e non si sostituisce a quella ascrivibile agli altri ruoli, tipizzati dalla normativa di settore.
Pertanto, l’intervenuta estinzione del reato, sopraggiunta con riguardo a questi ultimi, è improduttiva di qualsiasi riflesso sugli inadempimenti ascritti al datore di lavoro per il fatto di questo.
Tuttavia, il datore di lavoro avrebbe potuto fare ricorso all’istituto della delega di funzioni nel cantiere ove la contravvenzione è stata accertata.
L’adempimento degli obblighi ad esso originariamente attribuiti dalla normativa avrebbe potuto essere oggetto di una delega di funzioni verso un proprio alter ego nel luogo di lavoro. Un’eventualità, questa, i cui effetti sarebbero comunque subordinati al soddisfacimento di precisi requisiti, una volta frutto della elaborazione giurisprudenziale e, dal 2008 in poi, con l’entrata in vigore dell’art. 16 d.lgs. 81/2008, divenuti norma positiva12.
In altri termini, sebbene l’adempimento della nomina dei ruoli cd. “tecnici” sia di per sé inidoneo a trasferire ad essi l’insieme delle attribuzioni che per legge incombono sul datore di lavoro (di cui le citate nomine rappresentano una quota parte), resta l’ipotesi che quelle designazioni, adeguatamente arricchite dei contenuti direttamente riconducibili a tutti e ciascuno gli obblighi del datore di lavoro e rese conformi alle condizioni cui gli effetti della delega sono subordinati, avrebbero potuto determinare il trasferimento della posizione di garanzia con riferimento al cantiere.
Tale ipotesi comporta la necessità di evitare l’indebita commistione tra le fonti genetiche della posizione di garanzia: quella originaria, che trova la propria fonte negli obblighi incombenti sullo specifico ruolo, e quello della derivata, che trova la sua fonte nella facoltà del datore di lavoro, ricorrendone presupposti e requisiti, di procedere alla delega di funzioni.
Interessante è notare che la praticabilità della delega, dal datore di lavoro ai ruoli tipizzati dalla normativa in materia e perciò astrattamente imputabili in proprio rispetto ad eventuali inadempimenti degli obblighi su di essi incombenti, non viene astrattamente esclusa dalla sentenza in commento.
Lo si deduce dal richiamo alle “rigorose condizioni di legge” che la sentenza richiama e che, evidentemente, non sono state ravvedute essere soddisfatte nel caso specifico avuto riguardo agli atti di conferimento degli incarichi di natura tecnica (tra cui il direttore lavori, il coordinatore per la sicurezza e il preposto).
In particolare, assumendo che i delegati avrebbero potuto essere i (precedenti) coimputati, vengono sottolineate due precise condizioni nel rispetto delle quali vi sarebbe in teoria potuto essere una considerazione della ipotesi della delega di funzioni: la competenza tecnica che dovrebbe essere patrimonio del soggetto (altro rispetto al datore di lavoro) delegato; l’attribuzione di poteri decisionali e di intervento propri del delegante al delegato.
La delega di funzioni è strumento atto a determinare la liberazione della persona che, dato il proprio ruolo nell’organizzazione dell’impresa, assuma la posizione di garanzia di datore di lavoro secondo la definizione normativa.
L’individuazione del datore di lavoro, quale potenziale delegante, rappresenta pertanto il primo accertamento necessario, cui consegue la ricostruzione dell’insieme degli obblighi il cui eventuale inadempimento può dare luogo alla responsabilità per fatto proprio in sede penale.
Ricorrendone i presupposti e nel rispetto delle rigorose condizioni stabilite dalla legge, il conferimento (revocabile) da parte del datore di lavoro della capacità di svolgere in sua vece determinate attività o compiti originariamente su di esso incombenti per legge, e di esercitare, nell’interesse oggettivo tutela dalla stessa norma, i poteri e i mezzi messi a disposizione del delegato, può determinare la liberazione dalla responsabilità penale del primo.
Tra i requisiti delle delega, quelli richiamati incidentalmente dalla sentenza in commento sono certamente essenziali.
La delega di funzioni si definisce come il mezzo mediante il quale si tenda a colmare la “distanza” tra i vertici aziendali e le “fonti di pericolo” e, pertanto, deve mirare a ridurre il deficit di competenze tecniche specifiche degli obbligati ex lege, a cominciare proprio dal datore di lavoro13.
Il possesso dei requisiti di professionalità ed esperienza attengono alla sfera individuale del soggetto delegato, mentre, dal punto di vista del delegante, essi richiamano l’attenzione sulla necessità che la scelta del delegando sia fatta in ragione del paragone tra dette specifiche qualità e la natura delle funzioni delegate.
La diligenza del delegante, quindi, si misura nella consapevolezza e nella accuratezza di tale individuazione e paragone, allo scopo di evitare non solo una culpa in eligendo ma, anche e soprattutto, il venir meno completo degli effetti della delega.
Si pone poi la questione dei poteri che è necessario (o anche solo opportuno) vengano conferiti al delegato. La tipologia dei poteri di cui deve trattarsi nella delega è quella dei poteri non tanto e solo di spesa ma anche e soprattutto di quelli che possano decidere di una o più fasi del processo produttivo; poteri, cioè, idonei a consentire al delegato di incidere con autonomia decisionale sull’organizzazione, gestione e controllo del processo produttivo. E ai poteri dovrà accompagnarsi la facoltà di disporre autonomamente dei mezzi (budget, risorse interne e esterne, etc.) che la società abbia stanziato e messo a disposizione del perseguimento della conformità normativa e, quindi, a disposizione dell’eventuale delegato.
Tuttavia, è noto che, nella pratica, munire il delegato di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla natura delle funzioni delegate ponga un interrogativo su quali poteri di controllo residuino in capo al delegante e quali siano le modalità in cui tale controllo è opportuno che si esplichi.
Senza trascurare, poi, che l’effetto della segregazione delle responsabilità tra delegante e delegato viene unanimemente subordinato alla non-ingerenza del primo sulle scelte operative del secondo.
All’interno delle organizzazioni la questione può assumere profili di complessità non irrilevanti, posto che la linea di discrimine tra controllo e ingerenza può non apparire di facile demarcazione. Il persistere, infatti, di un vincolo gerarchico tra i soggetti coinvolti nella delega, può indurre nel delegante l’errata convinzione di poter in ogni momento avocare a sé la cura provvisoria di fasi contingenti del processo produttivo, oppure di aver mantenuto un potere di controllo ficcante a tal punto da mettere in discussione potenzialmente ogni singola scelta del delegato, modificandone magari anche gli esiti una volta si siano già prodotti.
Del problema è necessario che il delegante prenda consapevolezza dal momento che la delega di funzioni determina un mutamento del proprio obbligo originario che diventa quello di esercitare un adeguato controllo sull’efficace attuazione della funzione da parte di colui al quale essa è stata delegata14.
In conclusione, vale la pena di notare che, nello specifico ambito dei cantieri temporanei, il d.lgs. 81/2008 (Testo Unico Sicurezza) abbia enucleato un ulteriore e specifico ruolo che, rispetto a quello del committente, si atteggia proprio come un delegato di funzione15, ossia come un ruolo per sé stesso destinato ad assumere, in luogo del committente, compiti, poteri ma anche responsabilità di quello.
Si tratta nello specifico del ruolo del Responsabile dei lavori, ruolo che può essere designato dal committente e che nel singolo cantiere è deputato a costituirne il vero e proprio alter ego, assumendo un ruolo di promozione del coordinamento anche nei confronti del coordinato per la sicurezza e, soprattutto, assumendo pregnanti poteri nei confronti di tutte le imprese e fornitori operanti nel cantiere.
Per un maggiore approfondimento delle figure previste dal Titolo IV del d.lgs. 81/2008, si rinvia a V. Rochira, Interference risk management: la responsabilità derivante dal rischio interferenziale nei lavoro in appalto, in Aa. Vv., G. De Marzo e A. Merlo (a cura di), Lavoro e diritto penale, Milano, 2021, 349.
Cita come: S. Nanni, La delega di funzioni e i ruoli di coordinatore per la sicurezza e preposto in cantiere. La trasferibilità del debito di garanzia del datore di lavoro, in Rivista di Diritto Penale di Impresa 1/2022, 73-84. DOI: 10.35948/RDPI/2022.7
Data proposta | Data validazione | Data pubblicazione |
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20/05/2022 | 13/06/2022 | 25/07/2022 |
© Editore Progetto Diritto Penale di Impresa
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