Saggio
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Data pubblicazione: 29/11/2022
Le Sezioni unite della Corte di cassazione si sono recentemente pronunciate in ordine alla questione relativa alla individuazione dei limiti dell’efficacia retroattiva della disposizione ex art. 578-bis c.p.p. Il quesito oggetto di rimessione concerne l’applicabilità, o meno, di detta norma del codice di rito anche con riferimento alla confisca per equivalente disposta in relazione a un fatto di reato commesso anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, lett. f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, che ha inserito nell'art. 578-bis c.p.p. le parole «o la confisca prevista dall’art. 322-ter cod. pen.». Alla base del contrasto che ha reso necessario l’interpello delle Sezioni unite vi sono le diverse interpretazioni offerte dalle pronunce delle Sezioni semplici in ordine al rapporto tra la natura “processuale” della disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p., come tale soggetta al principio tempus regit actum, e il carattere afflittivo della confisca per equivalente.
La recente pronuncia fornisce lo spunto per condurre un’analisi dell’istituto su un piano generale, alla luce delle molteplici disposizioni che ne definiscono la disciplina normativa e delle numerose pronunce sul tema da parte della giurisprudenza di legittimità.
Parole chiave: Estinzione del reato per prescrizione, Confisca per equivalente, Principio di irretroattività
The relationship between the nature of the confiscation by equivalent and the applicability regime of Article 578-bis of the Code of Criminal Procedure: screening of the united Sections.
The United Sections of the Court of Cassation have recently ruled on the question regarding the identification of the limits of the retroactive effective of the law provision under Article 578-bis of the Criminal Procedure Code. The question referred to the Court concerns the applicability, or not, of that law provision also with reference to the confiscation by equivalent ordered in relation to an act of crime committed prior to the entry into force of Article 1, paragraph 4, letter f), Law No. 3 of January 9, 2019, which inserted in Article 578-bis of the Code of Criminal Procedure the words “or the confiscation provided for in Article 322-ter of the Criminal Code” Underlying the contrast which made the intervention of the Joint Sections necessary are the different interpretations provided by some of the Simple Sections’ roulings regarding the relationship between the “procedural” nature of the law provision in Article 578-bis c.p.p., as such subject to the principle tempus regit actum, and the afflictive nature of confiscation for equivalent.
The recent pronouncement provides the cue to conduct an analysis of the legal institution on a general level, in light of the multiple law provisions defining its legal framework and the numerous pronouncements on the subject by the jurisprudence of legitimacy.
Keywords: Extinction of the crime due to lapse of the statute of limitations, Confiscation by equivalent, Principle of non-retroactivity
Sebbene la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) abbia definito i confini entro i quali una misura privativa o limitativa della proprietà privata può (rectius, deve) considerarsi conforme ai principi e alle garanzie convenzionali in materia di tutela del diritto di proprietà, la compatibilità della disciplina giuridica nazionale dell’istituto della confisca con tali principi e garanzie risulta particolarmente controversa con riferimento a una particolare configurazione della misura ablatoria in esame. Si tratta della confisca – avente natura di sanzione “intrinsecamente punitiva” – disposta in assenza di una pronuncia di condanna.
In ordine a tale tema assume, quindi, rilievo preliminare l’esame dei parametri – individuati dalla giurisprudenza europea – sui quali improntare l’indagine volta a verificare se una determinata misura (nel caso di specie la confisca) assuma, o meno, i caratteri di una vera e propria sanzione di carattere afflittivo-punitivo. Ciò, naturalmente, in ossequio all’autonoma nozione convenzionale di pena di cui all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), con la conseguenza che, nel caso in cui la predetta indagine dia esito positivo, la misura applicata dovrà risultare conforme alle garanzie riconosciute dalla Convenzione in ordine alla matèire pénale.
Com’è noto, infatti, la necessità di impedire la c.d. “frode delle etichette”, garantendo il rispetto non soltanto formale delle garanzie convenzionali, si traduce nella “libertà”1 della Corte di definire autonomamente l’esatta portata della nozione di «pena» di cui all’art. 7 CEDU – così come di ogni altra espressione giuridica funzionale all’applicazione delle norme convenzionali –, indipendentemente, quindi, dalla eventuale qualificazione attribuita dal diritto interno a una determinata misura.
Su tale aspetto, la Corte europea, ha precisato che
il punto di partenza di qualsiasi valutazione relativa all’esistenza di una pena consiste nel determinare se la limitazione in questione è imposta successivamente ad una condanna per ‘reato’. Altri elementi possono essere considerati pertinenti a tale riguardo: la natura e lo scopo della missione in causa, la sua qualificazione nel diritto interno, le procedure legate alla sua adozione e alla sua esecuzione, e la sua gravità2.
Riconosciuta, quindi, sulla base degli indici definiti dalla Corte di Strasburgo, la natura penale della confisca, occorre che l’adozione del provvedimento avvenga nel rispetto delle relative garanzie convenzionali.
Innanzitutto, la Corte EDU ha espresso serie perplessità in ordine alla conciliabilità con l’art. 7 CEDU (norma che esplicita il principio di legalità nel diritto penale) della punizione di un imputato il cui processo non si sia concluso con una pronuncia dichiarativa della sua responsabilità3.
Non è concepibile, cioè, secondo le argomentazioni della Corte europea, un sistema che si voglia compatibile con i principi convenzionali ma in cui una persona subisca una pena nonostante sia dichiarata innocente all’esito di un procedimento o nei confronti della quale non venga, comunque, accertato alcun grado di responsabilità penale con conseguente sentenza di condanna4 (questo principio è stato affermato dalla Corte relativamente al principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, par. 2, della Convenzione).
Nel sistema di garanzie delineato dalla Convenzione europea, infatti, al principio sancito dall’art. 7 va riconosciuto un ruolo di estrema importanza, in ragione del quale la disposizione di cui al successivo articolo 15 esclude categoricamente che possano prevedersi delle deroghe allo stesso, anche in tempo di guerra o per altre situazioni di pericolo pubblico.
In particolare, per l’oggetto e lo scopo che lo caratterizzano, il principio in parola costituisce vero e proprio baluardo contro le azioni penali, le condanne e le sanzioni arbitrarie5.
Il paragrafo 1 dell’art. 7 sancisce il principio di legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege), in virtù del quale nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto dalla legge come reato, né può subire una pena che non sia espressamente comminata dal legislatore. Ciò impedisce al giudice nazionale di interpretare in maniera estensiva, ad esempio per analogia6, le norme incriminatrici, sia ampliandone l’ambito di applicazione, facendovi rientrare fatti che, diversamente, non assumerebbero rilevanza penale, sia applicando la legge penale in maniera estensiva a sfavore dell’imputato. A ben vedere, quindi, il principio in parola si rivolge non solo al giudice nazionale, ma altresì al legislatore, il quale è chiamato a definire i reati, nonché le pene che li reprimono7, in maniera chiara e precisa. Condizione, questa, che può considerarsi soddisfatta ove la previsione normativa presenti i caratteri della “accessibilità” (del precetto) e della “prevedibilità” (della sanzione), ossia quando siano assicurati adeguati mezzi di conoscenza delle norme e «la persona sottoposta a giudizio è in grado di comprendere, partendo dal testo della disposizione pertinente e – se necessario – con l’aiuto dell’interpretazione che ne danno i giudici, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale»8.
Tali caratteri si fondono, secondo le elaborazioni della recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo9, con il profilo soggettivo. Sebbene l’art. 7 CEDU non faccia espresso riferimento al legame psicologico che deve sussistere tra la condotta posta in essere e l’autore della stessa, esso deve essere interpretato nel senso che per l’applicazione di una pena è necessario che sussista «un legame di natura subiettiva (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta materiale dell’autore del reato».
Tuttavia, in altre pronunce la Corte sembra fare un passo indietro rispetto a tale lettura dei concetti di accessibilità e prevedibilità attraverso la lente della condizione individuale del soggetto agente, affermando l’ammissibilità di forme di responsabilità oggettiva, atteso che la Convenzione non impone di prevedere nella struttura dell’illecito elementi che la nostra dottrina nazionale riconduce nell’ambito dell’elemento soggettivo e della colpevolezza.
In tal senso, si è rilevato che
gli Stati contraenti restano liberi, in linea di principio, di reprimere penalmente un atto compiuto fuori dall’esercizio normale di uno dei diritti tutelati dalla Convenzione e, quindi, di definire gli elementi costitutivi di questo reato: essi possono, in particolare, sempre in linea di principio e ad alcune condizioni, rendere punibile un fatto materiale o oggettivo considerato di per sé, che derivi o meno da un intento criminale o da una negligenza […]. L’articolo 7 della Convenzione non richiede espressamente un ‘nesso psicologico’ o ‘intellettuale’ o ‘morale’ tra l’elemento materiale del reato e la persona che ne è ritenuta l’autore10.
In conclusione, anche se non mancano pronunce in cui si è (apparentemente) affermato il contrario11, la Corte ha rilevato che in virtù dei principi stabiliti dal Testo convenzionale non si può avere «condanna» senza che sia legalmente accertato un illecito – penale o, eventualmente, disciplinare12 –, né può applicarsi una pena nei confronti di un soggetto del quale non sia stata previamente accertata la responsabilità personale. Ne consegue che la sanzione di natura penale inflitta in assenza dell’accertamento della commissione di un reato (il che si verifica non solo in caso di applicazione di una pena in assenza di un procedimento, ma altresì nei casi di pronuncia di sentenza di proscioglimento e di sentenza dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione o per condotte riparatorie), è da considerarsi in contrasto con i principi convenzionali di legalità penale.
Nel nostro ordinamento, a fronte dell’attuale previsione espressa di due sole ipotesi di confisca senza condanna – la confisca urbanistica ex art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (il cui presupposto applicativo è costituito dalla pronuncia di “accertamento” «che vi è stata lottizzazione abusiva») e la confisca di prevenzione (misura ante delictum, disposta in conseguenza dell’accertata pericolosità sociale del titolare dei beni oggetto di ablazione) – risulta sempre più diffusa la tendenza legislativa (emblematica è l’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p. e le modifiche successivamente apportate alla norma), ma anche e soprattutto giurisprudenziale, ad ampliare i casi di ablazione in difetto di una espressa pronuncia di condanna.
A tale tendenza è indubbiamente riconducibile il contrasto originatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione relativa alla definizione del perimetro temporale di applicazione dell’art. 578-bis del codice di rito, funzionale all’applicabilità della disposizione del codice di rito con riferimento alla confisca per equivalente in relazione a fatti anteriori alla sua entrata in vigore.
La primigenia fattispecie di confisca, disciplinata dall’art. 240 c.p., è stata predisposta come misura di sicurezza patrimoniale finalizzata a sottrarre alla disponibilità del reo le cose collegate al reato da un vincolo di pertinenzialità, ossia i beni che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto. Essa può essere applicata dal giudice rispetto alle cose che sono servite o destinate a commettere il reato, nonché a quelle che ne costituiscono il prodotto o il profitto, mentre deve essere obbligatoriamente disposta in ordine alle cose che costituiscono il prezzo del reato.
Così congegnata, però, la confisca tradizionale incontra un ostacolo insormontabile, quanto alle sue concrete possibilità applicative, in tutte le ipotesi in cui l’individuazione delle cose collegate al reato si riveli particolarmente complessa, come nel caso in cui i beni costituenti lo specifico profitto dell’illecito siano stati successivamente occultati o dispersi, ovvero risulti di difficile accertamento il vincolo di derivazione causale diretta dal reato.
Per tali ragioni, la misura di sicurezza patrimoniale di cui all’art. 240 c.p. si è rivelata, col passare del tempo, inidonea a costituire un argine efficace contro il diffondersi di nuove forme di organizzazione criminale, come la c.d. “criminalità del profitto” o “economica”13; espressione impiegata per indicare una serie di fenomeni che, sebbene presentino caratteristiche diverse e peculiari, sono accomunati da un’unica finalità: il conseguimento di utilità economicamente apprezzabili14. Si tratta di forme di criminalità che si caratterizzano, in sostanza, per un approccio all’illecito in termini di “convenienza” secondo una valutazione “costi-benefici”, nel senso che il “costo” rappresentato dalla irrogazione della sanzione/pena detentiva è di gran lunga inferiore rispetto al “benefico” consistente nella possibile accumulazione di ricchezze mediante la perpetrazione del reato15.
L’introduzione nell’ordinamento italiano della c.d. confisca per equivalente costituisce essenzialmente il risultato della progressiva constatazione che «la modernità delle forme illecite di produzione della ricchezza […] ne consente agevolmente l’occultamento, la distrazione o semplicemente il reinvestimento in operazioni in cui non vi è traccia dell’origine macchiata dei beni»16. Tale consapevolezza ha condotto, appunto, alla definizione della misura ablatoria anzidetta, volta a neutralizzare – in una prospettiva di valorizzazione della funzionalità repressiva, a scapito del garantismo liberale17 – l’attività di occultamento, distrazione e reinvestimento dei patrimoni illeciti, superando i limiti strutturali (rectius, delle garanzie) caratteristici della tradizionale misura di sicurezza patrimoniale.
In sostanza, le peculiarità delle nuove forme di criminalità, in specie di quella economica, hanno reso evidente la necessità di realizzare – ai fini di un efficace contenimento del fenomeno, ribadendo, con maggiore forza e vigore, l’idea per cui “il crimine non paga” – un ampliamento dell’area di intervento mediante strumenti di carattere patrimoniale. Tale finalità è stata perseguita attraverso lo sviluppo e il potenziamento dell’originaria fattispecie di confisca, consistente nella definizione – sulla scorta dell’esempio di alcuni legislatori stranieri e degli impulsi di buona parte della dottrina18 – di una pluralità di nuove species di misure ablatorie19.
Una di queste figure è costituita dalla c.d. confisca per equivalente o di valore20 la quale, allorquando sia intervenuta la condanna (nonché, in alcuni casi, l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p.) per talune fattispecie criminose e sia fisicamente impossibile identificare i beni o le utilità economiche derivanti dal reato (perché, ad esempio, già reimpiegati nel tessuto economico legale e di cui si sono perse le tracce)21, consente l’ablazione del tantundem, ossia di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto o al profitto del reato22.
La predisposizione della confisca per equivalente, nel caso in cui i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione, è volta a superare gli ostacoli e le difficoltà per l’individuazione dei beni in cui si “incorpora” il profitto iniziale, nonché ad ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego. Ciò comporta che la stessa confisca per equivalente può riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 c.p., che può avere ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, non hanno neppure un collegamento diretto con il singolo reato23.
La ratio dell’istituto è quella di impedire che, attraverso il reimpiego di beni di provenienza delittuosa, il reo possa “consolidare” il vantaggio derivante dal reato24, privandolo, così, di qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento che assume «i tratti distintivi di una vera e propria sanzione»25.
Si tratta, quindi, di una misura particolarmente “elastica”26 atteso che, sotto il profilo oggettivo, essa aggredisce beni che, indipendentemente dal loro collegamento con il reato, sono individuati in base alla loro corrispondenza con i benefici che il reo ha ottenuto dalla commissione dell’illecito27 e, sotto il profilo soggettivo, rende sufficiente che i beni confiscabili siano nella disponibilità del reo, anche per interposta persona28.
Senza mai essere introdotta come istituto di carattere generale, la confisca per equivalente è stata, nel corso degli anni, prevista con riferimento a specifiche fattispecie delittuose da singole disposizioni normative, le quali hanno prodotto l’ulteriore effetto di rendere obbligatoria, rispetto alle fattispecie contemplate dalle stesse norme, anche la confisca del profitto (oltre a quella del prezzo ex art. 240, comma 1, c.p.), estendendo così l’ambito di applicazione della confisca tradizionale obbligatoria.
Se si esclude quella relativa ai provvedimenti di confisca emanati all’estero e dei quali sia richiesta l’esecuzione in Italia (art. 735-bis c.p.p.), la prima ipotesi di confisca per equivalente introdotta nel nostro ordinamento è quella relativa al reato di usura (art. 644, comma 6, c.p.). Ulteriori ipotesi di confisca di valore disciplinate dal codice penale riguardano: i delitti contro la pubblica amministrazione (art. 322-ter); i delitti contro l’ambiente (art. 452-undecies, comma 2); la truffa aggravata (art. 640-quater); i delitti contro la fede pubblica (art. 466-bis)29; il riciclaggio e l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e l’autoriciclaggio (art. 648-quater); i reati contro la personalità individuale (art. 600-septies).
Numerose ipotesi di confisca per equivalente sono state, poi, introdotte anche in molti settori disciplinati dalla legislazione speciale: manipolazione del mercato (art. 187, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58); reati societari (art. 2641, comma 2, c.c.); reati transnazionali (art. 11, l. 16 marzo 2006, n. 146); responsabilità amministrativa degli enti (art. 19, comma 2, d.lgs. 19 giugno 2001, n. 231); reati tributari (art. 1, comma 143, l. 24 dicembre 2007, n. 244; oggi – a seguito del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 – art. 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74); disciplina degli stupefacenti (artt. 73 e 74 d.P.R. 9 marzo 1990, n. 309)30; reati connotati da una particolare gravità (art. 12-sexies, comma 2-ter, d.l. 8 giugno 1992, n. 306; oggi – a seguito del d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21 – art. 240-bis, comma 2, c.p.); misure di prevenzione (art. 25 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159).
Infine, con il d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, il legislatore, estendendo l’ambito di applicazione dell’ipotesi di confisca disciplinata dall’art. 240, comma 2, n. 1-bis in relazione agli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione dei reati ivi tassativamente elencati, ha introdotto la confisca, anche per equivalente, dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto.
L’analisi della disciplina normativa delle diverse ipotesi di confisca per equivalente introdotte nel corso degli anni nel nostro ordinamento, consente di cogliere il carattere di sussidiarietà dell’apprensione di valore rispetto alla forma di ablazione tradizionale31. Tutte le disposizioni che disciplinano l’istituto32, infatti, prevedono l’applicazione della confisca per equivalente quando non è possibile – in quanto non più rinvenibili nel patrimonio dell’autore del reato, perché reimpiegati, occultati, distratti o consumati – procedere all’ablazione diretta dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato.
Invero, la solidità con cui il principio generale di sussidiarietà della confisca per equivalente è configurato nelle relative previsioni legislative sembra significativamente affievolirsi, nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla fase delle indagini preliminari, in particolare in sede cautelare33.
A tal riguardo, occorre preliminarmente precisare che la disposizione di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p. – a mente della quale il giudice può disporre il sequestro preventivo anche con riferimento alle cose di cui è consentita la confisca – è intesa, in assenza di specificazioni, come rivolta sia alla confisca diretta ex art. 240 c.p. che alle molteplici ipotesi di confisca per equivalente previste nel nostro ordinamento.
Sul punto, la Suprema Corte ha dunque precisato che, in ossequio al carattere sussidiario dell’ablazione definitiva, anche il sequestro preventivo finalizzato a consentirne (rectius, garantirne) la futura applicazione è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto o il prezzo del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione34.
Tuttavia, a tale affermazione di principio si è aggiunto che, versandosi in materia di misura cautelare reale, non è possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacché, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, così vanificando ogni esigenza di cautela. Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non è, di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto di reato, previa loro certa individuazione.
È perciò legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituenti profitto illecito anche quando l’impossibilità del loro reperimento sia anche soltanto transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura35.
Si tratta, evidentemente, di una prassi giudiziaria volta a privilegiare l’applicazione – per il tramite del provvedimento cautelare – della confisca per equivalente, attesa la maggiore elasticità dei suoi presupposti applicativi, rispetto a quella tradizionale, rigidamente vincolata alla individuazione dello specifico “guadagno” derivante dal reato.
Naturalmente, alla sussidiarietà della confisca per equivalente rispetto a quella diretta non può attribuirsi il significato di possibile applicazione alternativa di una delle due misure. Diversamente ragionando, infatti, si finirebbe per configurare la confisca di valore come uno strumento a mezzo del quale rifuggire dai più stringenti presupposti applicativi della confisca tradizionale. Al contrario, l’equivalenza nell’applicazione della misura concerne esclusivamente l’oggetto dell’ablazione, con la conseguenza che la sua operatività presuppone comunque un necessario e preliminare accertamento circa l’esistenza obiettiva di un bene costituente profitto o prezzo del reato, la cui ablazione diretta sia, però, impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile36.
Se è vero, infatti, che l’applicazione della confisca per equivalente prescinde dalla sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra il tantundem e il reato – e, più in generale, dalla natura illecita dei beni da apprendere – è non meno vero che, onde evitare di snaturare la ratio della misura in esame (caratterizzata dalla sostituzione delle cose oggetto di ablazione: dal bene che costituisce il profitto o il prezzo del reato ad altro bene, di valore corrispondente, nella disponibilità del condannato), l’esistenza di un profitto o prezzo derivanti dal reato – la cui ablazione sia, per una qualunque ragione, divenuta impraticabile – debba essere necessariamente accertata al di là di ogni ragionevole dubbio37.
Pertanto, al fine di evitare che la confiscabilità di valore possa tradursi, in assenza di puntuali criteri di riferimento, in un efficace strumento di aggiramento delle esigenze probatorie che caratterizzano la confisca tradizionale, è necessario che le utilità derivanti dal reato vengano precisamente individuate e commisurate, atteso che solo in siffatto modo sarà possibile assicurare una corrispondenza tra le stesse e i beni confiscabili per equivalente.
Ciò premesso, quanto ai presupposti applicativi, va precisato che affinché possa essere disposta la confisca di valore è necessario che:
si proceda per uno dei reati per i quali la sua applicazione è espressamente prevista dalla legge;
sia accertata la sussistenza del profitto e/o del prezzo connessi al reato e risulti impossibile disporne la confisca diretta;
i beni da confiscare siano nella disponibilità dell’autore del reato;
i predetti beni siano di valore equivalente all’utilità economica che si sarebbe dovuto confiscare in via diretta.
Per completezza, giova infine rilevare come, assodato il carattere suppletivo della confisca per equivalente, alcuni autori si siano chiesti se il presupposto applicativo della misura debba essere ravvisato soltanto nella improcedibilità di fatto all’apprensione diretta dei beni ovvero possa disporsi la confisca per equivalente anche nei casi in cui il bene risulti non espropriabile per ragioni inerenti alla natura stessa del profitto38.
Il problema si pone con riferimento a tutti quei vantaggi immateriali derivanti dal reato, ossia quelle utilità economiche che rappresentano conseguenza diretta del reato, ma che non hanno originariamente una dimensione fisica e che quindi non potrebbero essere oggetto d’ablazione.
Astrattamente si potrebbe affermare che la confisca di valore può essere applicata non solo nelle ipotesi in cui l’ablazione diretta risulti impossibile a causa di una improcedibilità di fatto, ma anche nei casi in cui il prezzo o profitto del reato risultino inespropriabili per ragioni connesse alla natura stessa dei beni. Tuttavia, la dottrina è concorde nel ritenere che la ratio di supplenza della confisca di valore induca a ritenere che l’espressione “quando non è possibile” sia da riferirsi esclusivamente a casi di improcedibilità di fatto della confisca qualificata (perché l’utilità è reimpiegata, trasformata, alienata, ecc.), e non anche a quelli in cui il bene non possa essere espropriato per ragioni inerenti alla natura stessa del prezzo o profitto tratto dal reato39.
Per espressa previsione delle relative disposizioni normative, la disponibilità in capo al reo dei beni su cui è destinata a incidere la misura costituisce, come accennato, un presupposto applicativo indefettibile della confisca per equivalente.
Tuttavia, la terminologia atecnica (“disponibilità”) impiegata dal legislatore, il quale nella definizione delle predette norme non ha utilizzato le posizioni giuridiche soggettive proprie del diritto civile (come, per esempio, il diritto di proprietà), ha determinato, di fatto, l’assegnazione all’interprete del compito di valutare, volta per volta, le concrete possibilità applicative della misura.
La dottrina è concorde nell’affermare che la disponibilità rilevante ai fini dell’applicazione della confisca di valore non debba essere valutata sulla base di criteri formali, dai quali conseguirebbe la limitazione della portata applicativa dell’istituto ai soli beni con riferimento ai quali il reo abbia la titolarità di diritti reali o obbligatori. Al contrario, essa deve essere accertata in una prospettiva sostanzialistico-fattuale, così da ricomprendere tra i beni assoggettabili alla misura in esame tutti quelli che rientrano nella sfera di disponibilità dell’autore del reato, rispetto ai quali il reo, indipendentemente dalla eventuale titolarità formale di diritti sugli stessi, si comporti uti dominus, come se alla posizione di fatto corrispondesse una legittima posizione di diritto40.
Così definita, la disponibilità di cui alla confisca per equivalente si identifica con l’esercizio di poteri di fatto, corrispondenti al contenuto del diritto di proprietà, in forza dei quali il soggetto può determinare autonomamente la destinazione, l’impiego e il godimento del bene stesso, ossia con il possesso civilistico di cui all’art. 1140 c.c.
Non è necessario, quindi, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e quindi la disponibilità degli stessi. Tale potere di fatto può essere esercitato direttamente o a mezzo di altri soggetti, che a loro volta, possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata)41. Sicché la nozione di disponibilità non può essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene ma va estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri42.
Inteso, quindi, il concetto di disponibilità come signoria di fatto sul bene, gli aspetti maggiormente problematici in ordine all’applicazione della confisca per equivalente attengono ai casi in cui le res confiscandae appartengano a persona estranea al reato (come tali, non assoggettabili all’ablazione).
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che «non integra la nozione di ‘appartenenza a persona estranea al reato’ la mera intestazione a terzi del bene mobile utilizzato per realizzare il reato stesso, quando precisi elementi di fatto consentano di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che in realtà sia l’autore dell’illecito ad avere la sostanziale disponibilità del bene»43.
In altri termini, quando il bene è formalmente intestato a terzi (anche se prossimi congiunti del soggetto destinatario del provvedimento) non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia, ma incombe sul pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite44.
Ne consegue che, ai fini dell’operatività della confisca per equivalente e, di riflesso, della possibile adozione di un provvedimento di sequestro preventivo dei beni che possano formarne oggetto, il requisito costituito dalla disponibilità di tali beni da parte del reo può ritenersi sussistente in tutti i casi in cui ricorrano elementi idonei a creare una presunzione iuris tantum di intestazione fittizia.
In applicazione di tali principi, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che:
la disponibilità di fatto dell’indagato, o condannato, sui beni va ravvisata nel caso di intervenuta cessione dei medesimi ad un terzo con patto fiduciario di retrovendita45;
le quote sociali non formalmente intestate all’indagato possono essere oggetto di ablazione ove si dimostri che l’indagato sia stato amministratore di fatto della società, avendone svolto in modo continuativo e significativo i poteri tipici46;
le somme di denaro depositate su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto quest’ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori (art. 1289 c.c.) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (art. 1834 c.c.)47;
il sequestro può riguardare anche un bene in comproprietà tra l’indagato ed un terzo estraneo48 o un bene facente parte del fondo patrimoniale familiare49;
i beni conferiti in trust sono assoggettabili a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente quando risultino nella disponibilità dell’indagato, il quale continui ad amministrarli conservandone la piena disponibilità50.
Dall’analisi delle caratteristiche e dei requisiti della confisca di valore emerge chiaramente l’importanza che riveste nella realtà applicativa la distinzione tra l’ablazione diretta e quella per equivalente, atteso che le condizioni alle quali può essere disposta l’una o l’altra divergono in maniera essenziale.
Innanzitutto, mentre la previsione normativa di cui all’art. 240 c.p. identifica una disposizione di carattere generale, che trova applicazione con riferimento a qualsivoglia fattispecie criminosa, le disposizioni che disciplinano la confisca per equivalente sono specifiche, per cui esse possono essere applicate con esclusivo riferimento alle ipotesi delittuose dalle stesse contemplate.
Inoltre, a fronte della natura di misura di sicurezza della confisca tradizionale, espressamente affermata nelle relative disposizioni codicistiche, la giurisprudenza – sia di legittimità che costituzionale – riconosce ormai pacificamente, nell’assenza di indicazioni da parte del legislatore, la natura di sanzione penale della confisca per equivalente. Ne consegue che mentre la prima misura soggiace alla disciplina delle misure di sicurezza, la seconda segue il regime giuridico delle pene.
La dottrina, dal canto suo, sebbene aderisca senza particolari riserve alla tesi della natura sanzionatoria della confisca di valore, registra alcune autorevoli opinioni dissenzienti51.
In particolare, quanto alle differenze intercorrenti tra le due forme di ablazione, si è osservato come il vero discrimen debba essere rintracciato nel diverso oggetto su cui esse incidono, ossia i beni derivanti dal reato nella confisca diretta, e i beni di uguale valore nella confisca per equivalente, non potendosi, invece, individuare «una reale diversità di natura giuridica».
Analizzata in questa prospettiva, non solo nella confisca di valore non potrebbe ravvisarsi una pena, atteso che l’entità dell’ablazione deve essere contenuta nei limiti del vantaggio patrimoniale derivante dalla commissione del reato, ma «sia la confisca per equivalente che la confisca diretta sono entrambe sanzioni in quanto entrambe neutralizzatrici, a favore dello Stato, di profitti illeciti o di valori ad essi equivalenti»52.
Nella stessa direzione si è rilevata l’impossibilità di definire una netta distinzione tra confisca dei profitti diretta e confisca dell’equivalente dei profitti sotto il profilo della rispettiva funzione, atteso che la confisca di valore costituisce null’altro che «un surrogato della confisca dei profitti diretti», ossia uno strumento residuale predisposto dal legislatore per le ipotesi in cui l’ablazione tradizionale non possa essere disposta per mancato rinvenimento degli stessi profitti. Ne consegue che, a fronte della diversità di oggetto su cui intervengono, le due misure assolvono una funzione del tutto identica53.
In altri termini, la confisca per equivalente mutuerebbe la propria funzione, nonché la natura giuridica, dalla confisca diretta, di cui finisce per costituire una sorta di modalità di esecuzione, per cui, se la confisca diretta ha natura neutralizzante, anche la confisca per equivalente avrà tale natura, e se la confisca diretta ha natura ripristinatoria, allora anche la confisca per equivalente avrà natura ripristinatoria54.
La sintetica analisi appena condotta in ordine alle peculiari caratteristiche della confisca per equivalente consente di individuare agevolmente le tematiche che vengono in rilievo in ordine al contrasto giurisprudenziale che ha determinato la remissione della questione alla Sezioni unite.
Si tratta di definire i limiti dell’efficacia temporale della disposizione di cui all’art. 578-bis c.p.p., al fine di stabilire se la stessa può trovare applicazione – in dettaglio, consentendo di disporre la confisca per equivalente ex art. 322-terc.p. – anche con riferimento a un accertamento di responsabilità sostanziale relativo a un fatto di reato commesso anteriormente all’entrata in vigore della norma del codice di rito. In tale prospettiva, le tematiche di rilievo che occorre indagare per la soluzione della questione concernono: 1) la natura giuridica della confisca per equivalente; 2) la natura, sostanziale o processuale, della disposizione di cui all’art. 578-bis c.p.p.
L’introduzione nel nostro ordinamento della confisca per equivalente ha posto sin dall’inizio, attese le rilevanti innumerevoli implicazioni pratiche che vi sono connesse, il problema della definizione della sua natura giuridica, nell’alternativa tra misura di sicurezza e misura di carattere sanzionatorio.
Si tratta di una vera e propria vexata questio, con riferimento alla quale la dottrina e la giurisprudenza hanno prospettato, nel corso degli anni, soluzioni diverse e, talvolta, contrapposte.
Naturalmente, un’indagine in ordine alla natura giuridica della confisca per equivalente che restituisca un risultato “genuino” deve essere condotta esclusivamente sulla base della sua funzione e della specifica finalità perseguita, per il suo tramite, dal legislatore, senza che possa in alcun modo attribuirsi rilievo alla collocazione sistematica o al nomen iuris dell’istituto.
Sul punto, occorre, quindi, preliminarmente ricordare che le ragioni che hanno indotto il legislatore a introdurre l’ipotesi della confisca c.d. di valore risiedono, come già accennato, nell’inidoneità e inadeguatezza, specie in ordine a determinate forme di criminalità, del modello tradizionale di confisca che deve necessariamente avere ad oggetto gli stessi beni su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra bene e reato.
In particolare, la Corte di cassazione ha affermato che
la trasformazione, l’alienazione o la dispersione di ciò che rappresenti il prezzo o il profitto del reato determina la conseguente necessità, per l’ordinamento, di approntare uno strumento che, in presenza di determinate categorie di fatti illeciti, faccia sì che il beneficio che l’autore del fatto ha tratto, ove fisicamente non rintracciabile, venga ad essere concretamente sterilizzato sul piano patrimoniale, attraverso una misura ripristinatoria che incida direttamente sulle disponibilità dell’imputato, deprivandolo del tantundem sul piano monetario55.
Da qui, la logica strutturalmente sanzionatoria della confisca di valore, dal momento che è l’imputato che viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche (e non la cosa in quanto derivante dal reato), e ciò proprio perché autore dell’illecito. È evidente, pertanto, che, in una simile prospettiva, l’oggetto della confisca di valore finisce per non presentare alcun nesso di pertinenzialità col reato, rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria: né più né meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna.
Lo scopo dell’istituto in esame è, dunque, quello di superare le angustie della confisca “tradizionale”, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternatività-sussidiarietà (può essere disposto solo nei casi in cui essa risulti inapplicabile) per la sua attitudine a costituire un rimedio efficace alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile, in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati56.
In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito, perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. É evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale.
Queste caratteristiche della confisca per equivalente hanno indotto la dottrina57 e la giurisprudenza58 a riconoscerne la natura sanzionatoria.
La stessa Corte costituzionale59, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo60, ha ritenuto che la confisca per equivalente non abbia natura di misura di sicurezza, negando che potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi dell’art. 200 c.p. e affermando, invece, il ricorso agli artt. 25 Cost. e 2 c.p.
In sostanza, la natura sanzionatoria della confisca di valore è desumibile dalla circostanza che la stessa incide su beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, non hanno neppure un collegamento diretto con il singolo reato. La ratio dell’istituto è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico dell’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento. Si tratta, in altri termini, di una “forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”61.
La confisca per equivalente, infatti, viene ad assolvere ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile; essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza.
Alla natura punitiva della confisca di valore consegue, quindi, che ad essa è applicabile, in via esclusiva, il regime giuridico delle pene e non quello delle misure di sicurezza62.
L’analisi della casistica giurisprudenziale consente di individuare alcuni immediati “corollari” della natura sanzionatoria della confisca di valore in tema di successione di leggi e concorso di persone nel reato.
Quanto al primo tema, la giurisprudenza, sia di legittimità63 che costituzionale64, ha precisato che la natura “eminentemente sanzionatoria” della confisca in oggetto ne implica la sottrazione dal principio di retroattività previsto dall’art. 200 c.p., in forza del quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e di contro l’assoggettamento ai contrari principi di irretroattività e del favor rei, quali emergenti dagli artt. 2 c.p., 25 Cost. e 7 CEDU.
Con riferimento al concorso di persone nel reato, invece, si è osservato che di fronte ad un illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Più in particolare, perduta l’individualità storica del profitto illecito, la confisca di valore può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), non essendo esso ricollegato all’arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti che costituisce fatto interno a questi ultimi65.
Analogamente, si è affermato che in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, il provvedimento cautelare, sebbene non possa complessivamente eccedere nel “quantum” l’ammontare del profitto complessivo, può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato66.
Sul punto, poi, si registra un orientamento giurisprudenziale solo apparentemente contrastante secondo cui, in caso di pluralità di indagati, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può eccedere per ciascuno dei concorrenti la misura della quota di profitto del reato a lui attribuibile, sempre che tale quota sia individuata o risulti chiaramente individuabile67. È chiaro quindi che, ove la natura della fattispecie concreta e dei rapporti economici ad essa sottostanti non consenta di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente o la sua esatta quantificazione, il sequestro preventivo può essere disposto per l’intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti68.
L’art. 578-bis c.p.p., nella formulazione da ultimo modificata dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. Spazzacorrotti), impone al giudice dell’impugnazione che dichiari il reato estinto per prescrizione (o amnistia) di decidere l’impugnazione ai soli effetti della disposta «confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale». La disposizione impone, dunque, espressamente, ai fini della conferma o meno della confisca ordinata in primo grado o in appello, un compiuto accertamento della penale responsabilità dell'imputato in un caso, quello della sentenza di proscioglimento pronunciata in appello o in cassazione per prescrizione del reato, diverso da una formale pronuncia di condanna.
Limitando l’analisi della disposizione in esame al profilo relativo ai limiti di efficacia temporale della norma69, occorre soffermare l’attenzione sulla sua natura, sostanziale o processuale, in quanto è un accertamento di questo tipo che consente, unitamente alla valutazione circa la sua eventuale incidenza sulla concreta punizione del fatto, di stabilire se una data disposizione soggiace al divieto di irretroattività o al principio del tempus regit actum.
Sul punto, giova dunque evidenziare che sebbene l’art. 578-bis c.p.p. debba essere senz’altro qualificata come norma “processuale”, in quanto - agendo su un profilo processuale e temporale - non introduce nuovi casi di confisca, ma si limita a definire l'arco procedimentale entro il quale la stessa può essere applicata, non può negarsi che la stessa disposizione produce indubbi effetti sostanziali, determinando l'adozione di una pronuncia (in appello o in cassazione) impositiva di un sacrificio patrimoniale “a sorpresa”.
Con riferimento al tema della individuazione dell’efficacia temporale della disposizione di cui all’art. 578-bis, e, precisamente se questa disposizione sia applicabile anche alle confische per equivalente disposte per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, si è registrato in seno alla giurisprudenza di legittimità un netto contrasto tra diverse opzioni ermeneutiche.
Secondo un primo orientamento, la disposizione di cui all'art. 578-bis c.p.p. (introdotta dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha disciplinato la possibilità di applicare, con una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione la confisca cd. allargata prevista dall'art. 240-bis c.p., estesa, dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, a tutte le ipotesi di confisca di cui all'art. 322-ter c.p.) trova applicazione anche con riferimento ai casi di confisca per equivalente disposta in relazione a un fatto di reato commesso anteriormente all’entrata in vigore della norma del codice di rito70.
Le argomentazioni addotte a sostegno di tale orientamento concernono: 1) il carattere e la funzione della confisca per equivalente; 2) la natura della norma ex art. 578-bis c.p.p.
Con riferimento ai primi, si osserva che la confisca di valore, pur avendo una connotazione prevalentemente afflittiva e una natura “eminentemente sanzionatoria”, svolge una funzione «ripristinatoria», finalizzata a sottrarre all’autore del reato il valore corrispondente al profitto o al prezzo dell'illecito, per cui non è equiparabile né alla pena, né ad una sanzione accessoria. In altri termini, la confisca di valore non sarebbe assimilabile né ad una misura di sicurezza, in quanto non si riferisce a cose intrinsecamente pericolose, né ad una sanzione accessoria, in quanto priva della funzione preventiva tipica di tali misure, né ad una sanzione principale, siccome non definita in proporzione alla gravità della condotta ed alla colpevolezza del reo. Inoltre, la natura “parzialmente” sanzionatoria della confisca per equivalente (significato che sarebbe da attribuire, secondo questo orientamento, all’espressione «‘eminentemente’ sanzionatoria» impiegata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità per descrivere la natura dell’istituto in esame) non implicherebbe la sua attrazione nell'area della sanzione in senso stretto, né la applicazione alla stessa dello statuto normativo della pena.
Per quanto concerne, invece, la natura dell’art. 578-bis c.p.p., l’orientamento in parola afferma trattarsi di una norma di natura processuale, come tale soggetta al principio tempus regit actum, non introducendo nuovi casi di confisca, ma limitandosi a definire la cornice procedimentale entro cui può essere disposta la cd. ablazione senza condanna. In altre parole, La norma si limita a stabilire che la confisca di valore può essere applicata nel giudizio di impugnazione anche quando sopravvenga l'estinzione per prescrizione, ma sia confermato l'accertamento di responsabilità.
Secondo l’opposta opzione ermeneutica, l’art. 578-bis c.p.p. non può trovare applicazione per il mantenimento della confisca per equivalente disposta in relazione a fatti di reato dichiarati prescritti nel giudizio di impugnazione e commessi anteriormente alla sua entrata in vigore71. Stante il carattere afflittivo della misura ablatoria in esame, l’applicazione della norma del codice di rito in ipotesi di tal genere si sostanzierebbe nel riconoscimento di un’efficacia retroattiva della disposizione, contrastante con il combinato disposto degli artt. 25 Cost. e 7 CEDU.
In tale differente prospettiva, con riferimento alla natura della confisca per equivalente, si osserva che l’avverbio «eminentemente», impiegato per definire la natura sanzionatoria dell’istituto, deve essere inteso nel senso di “specialmente”, “principalmente”, “particolarmente” e non certo di “parzialmente”. Tuttavia, anche a voler riconoscere alla confisca di valore una natura solo “parzialmente” sanzionatoria, resterebbe ferma la sua natura afflittiva, in quanto l'oggetto dell'ablazione è rappresentato da una porzione di patrimonio che, in sé, non presenta alcun elemento di collegamento con il reato. Ne consegue che, in relazione a tale forma di ablazione, si pone la necessità di garantire al destinatario una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale.
In ordine alla natura della disposizione di cui all’art. 578-bis c.p.p., invece, si afferma che la stessa sia da qualificarsi in termini di “diritto penale materiale”, categoria cui vanno ricondotte tutte quelle disposizioni che, come appunto l’art. 578-bis c.p.p., «non possiedono una valenza esclusivamente processuale», ma costituiscono «norme che esplicano effetti sostanziali incidenti direttamente sull’an e sul quantum della confisca-sanzione, e che incidono sulla ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si troverebbe esposto l’agente trasgredendo il precetto penale», essendo «norme processuali che aggravano il trattamento sanzionatorio sotto il profilo patrimoniale, menomando la ‘certezza di libere scelte d’azione’».
Alla luce di tale contrasto, la terza Sezione della Corte di cassazione ha rivolto alle Sezioni Unite il seguente quesito:
se, e quando, la statuizione di confisca per equivalente possa essere lasciata ferma, o debba invece essere eliminata, nel caso in cui il giudice dell’impugnazione pronunci sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato presupposto previo accertamento della responsabilità dell’imputato, ed il fatto sia anteriore alla entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, lett. f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, che ha inserito nell’art. 578-bis cod. proc. pen. le parole ‘o la confisca prevista dall’art. 322-ter cod. pen.’.
All’esito della camera di consiglio del 29 settembre 2022, le Sezioni unite hanno dato al quesito risposta «negativa, trattandosi di disposizione di natura anche sostanziale soggetta al divieto di retroattività della norma in malam partem ex art. 25 Cost.».
In attesa di conoscere il percorso argomentativo che ha condotto le Sezioni unite ad affermare il principio di diritto veicolato dall’informazione provvisoria, possono essere formulate alcune, brevi, considerazioni in ordine alla tematica dibattuta, al fine di enucleare le ragioni per le quali la soluzione offerta dal Supremo Consesso risulta, tra quelle prospettate dall’elaborazione giurisprudenziale, quella maggiormente rispettosa dei principi e delle garanzie della materia penale.
Appare evidente come la soluzione della questione controversa (vale adire l’efficacia retroattiva della disposizione del codice di rito) richieda necessariamente – come, del resto, adeguatamente evidenziato dalla stessa Sezione rimettente – una preliminare analisi delle tematiche che vengono in rilievo:
la natura della confisca per equivalente;
la natura, sostanziale o processuale, della disposizione di cui all’art. 578-bis c.p.p.
L’affermazione di principio diffusa mediante l’informazione provvisoria non contiene alcuna indicazione in ordine alla prima di tali tematiche. Sul punto, occorre attendere, quindi, il deposito delle motivazioni per comprendere se le Sezioni unite si siano confrontate anche con l’argomento relativo alla natura della confisca per equivalente. Ciò posto, giova ricordare che con riferimento a tale tematica la giurisprudenza costituzionale72 e di legittimità73 ha evidenziato che la confisca per equivalente, in quanto misura che attinge beni non intrinsecamente pericolosi e che non sono in rapporto di diretta pertinenzialità con il reato per cui si procede, assume una connotazione prevalentemente afflittiva e una natura “eminentemente sanzionatoria”, il che ne esclude la riconducibilità alla categoria delle misure di sicurezza.
Pacifico, per un verso, il riconoscimento della natura eminentemente sanzionatoria della misura ablatoria in esame, controversa per l’altro, la sua attrazione nell'area della sanzione in senso stretto, con la conseguente applicazione alla stessa dello statuto normativo della pena. Sul punto, all’orientamento che esclude l’applicazione di detto statuto alla misura ablatoria in esame – sul presupposto che la componente sanzionatoria dell’istituto risulti recessiva rispetto a quella ripristinatoria (della situazione economica del reo, qual era prima della violazione della legge penale, privandolo delle utilità ricavate dal crimine commesso e sottraendogli beni di valore ad esse corrispondenti) – sembra di gran lunga preferibile l’opposto indirizzo interpretativo. Quest’ultimo sostiene che, a fronte del carattere misto della natura – sanzionatoria e ripristinatoria – della confisca per equivalente, non assume alcuna rilevanza, ai fini della soluzione della questione in esame, la circostanza che la componente “afflittiva” risulti eventualmente recessiva rispetto a quella ripristinatoria. Al contrario, la mera caratterizzazione anche in termini sanzionatori della natura della confisca per equivalente è di per sé sola sufficiente, indipendentemente dal suo rapporto di prevalenza o subvalenza rispetto alla funzione ripristinatoria, a evidenziare la vigenza in relazione a tale forma di ablazione dell’insieme di principi e garanzie risultanti dal combinato disposto degli artt. 25 Cost. e 7 CEDU.
Con riferimento alla seconda tematica, invece, l’orientamento secondo il quale l’art. 578-bis c.p.p. non ha natura meramente processuale, ma almeno mista, dunque anche sostanziale, appare maggiormente conforme alle caratteristiche della stessa norma.
A prescindere dalla sua collocazione sistematica nel codice di procedura penale, infatti, la disposizione in parola produce innegabili effetti di carattere sostanziale nella misura in cui determina l'adozione di una pronuncia (in appello o in cassazione) impositiva o confermativa di un sacrificio patrimoniale “a sorpresa” mediante la disposizione o il mantenimento della confisca per equivalente, ossia di una misura ablatoria avente una connotazione prevalentemente afflittiva e una natura “eminentemente sanzionatoria”.
È sulla base di queste preliminari considerazioni, dunque, che deve essere affrontata – e risolta – la questione relativa alla possibilità di applicare retroattivamente, ossia per la disposizione o il mantenimento della confisca per equivalente relativa a fatti di reato prescritti e commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, dell’art. 578-bis c.p.p.
Sul punto, si afferma comunemente che la validità nel tempo delle norme penali è governata da due differenti principi: quello del “tempus regit actum, in virtù del quale le modificazioni in peius sarebbero applicabili anche ai procedimenti relativi a reati commessi anteriormente alla loro entrata in vigore (e ovviamente anche a procedimento già iniziato), per le norme di natura processuale; il divieto di retroattività “in malam partem” (e di retroattività favorevole), per le norme penali sostanziali.
Invero, a fronte di tale netta suddivisione operabile dal punto di vista teorico, sul piano pratico l’operatività del principio del tempus regit actum con riferimento a talune norme processuali, e quindi la sottrazione delle stesse al divieto di applicazione retroattiva, può sostanziarsi in una evidente violazione delle garanzie allestite dall’art. 25, comma secondo, Cost.
Se, infatti, la citata disposizione costituzionale consente la “punizione” di un fatto esclusivamente in base ad una legge che sia entrata in vigore prima della sua commissione, la garanzia della irretroattività deve necessariamente estendersi fino a ricomprendere tutte le norme che alla commissione di un fatto qualificato come reato vi riconnettono l'effetto della punizione. Tutte le norme, insomma, che non solo qualificano il comportamento come reato, ma che ne stabiliscono la punizione in concreto e quindi l’an, il quantum e la “qualità” delle conseguenze punitive, devono soggiacere alla regola della irretroattività.
Tale principio, quindi, è violato quando vengono applicate retroattivamente disposizioni legislative (anche processuali, ma con effetti sostanziali, come quella di cui all’art. 578-bis c.p.p.) i cui effetti sanzionatori non erano “prevedibili” nemmeno in base all'interpretazione giurisprudenziale all'epoca esistente, a fatti commessi prima dell'entrata in vigore di tali disposizioni. Se, infatti, la ratio del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole è quella di tutelare l'affidamento e la libertà di autodeterminazione, questa esigenza di tutela deve necessariamente valere anche in caso di applicazione di legge processuale, ma con effetti sostanziali in malam partem, come del resto di recente affermato anche dalla Corte costituzionale74.
Alla luce di tali considerazioni, può conclusivamente affermarsi che una corretta e fedele applicazione dei principi che vengono in rilievo nella materia in esame, e quivi esaminati, non poteva che condurre le Sezioni unite a fornire risposta negativa al quesito oggetto di rimessione, escludendo che l’art. 578-bis c.p.p., in considerazione dei suoi effetti anche sostanziali, possa essere applicato retroattivamente per il mantenimento, nel giudizio di impugnazione, della confisca per equivalente disposta in relazione a fatti di reato dichiarati prescritti e commessi anteriormente all’entrata in vigore della disposizione codicistica.
Corte EDU, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, § 28. Conformi: Corte EDU, Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, §§ 49 e 50; Corte EDU, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, § 27; Corte EDU, Coëme c. Belgio, 22 giugno 2000, § 145.
Conformi: Corte EDU, Grande Camera, G.I.E.M. c. Italia, 28 giugno 2018, § 210; Corte EDU, Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013; Corte EDU, Sud Fondi c. Italia, 30 agosto 2007.
Invero, questa linea interpretativa della giurisprudenza europea sembra subire una battuta d’arresto con l’ultima pronuncia sul tema: Corte EDU, G.I.E.M. c. Italia, 28 giugno 2018.
Corte EDU, Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013, § 67.
Corte EDU, S.W. c. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 34; Corte EDU, C.R. c. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 32.
Corte EDU, Coëme c. Belgio, 22 giugno 2000, § 145.
Corte EDU, Achour c. Francia, 29 marzo 2006, § 41.
Corte EDU, Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio, 1993, § 52; Corte EDU, Achour c. Francia, 29 marzo 2006 § 41; Corte EDU, Sud Fondi c. Italia, 30 agosto 2007, § 107.
Corte EDU, Sud Fondi c. Italia, 20 gennaio 2009.
Corte EDU, Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013.
Corte EDU, Grande Camera, G.I.E.M. c. Italia, 28 giugno 2018.
Corte EDU, Engel c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 68; Corte EDU, Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100.
A.M. Maugeri, La confisca per equivalente – ex art. 322-ter – tra obblighi di interpretazione conforme ed esigenze di razionalizzazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, 792; A. Alessandri, Attività d’impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, 534 ss.
Sul tema: A. Alessandri, Attività d’impresa e responsabilità penali, cit., 535 ss.; A. Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo III, a cura di E. Dolcini, C.E. Paliero, Milano, 2006, 2128; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007, 16; L. Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997, 16.
L. Fornari, op. cit., 7.
F. Vergine, Confisca e sequestro per equivalente, Padova, 2006, 139.
Sul tema vedi: A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001.
Gli istituiti analoghi o comparabili presenti in altri ordinamenti sono, principalmente: il Verfall tedesco, il criminal forfeiture americano e il confiscation order inglese.
P. Sanfilippo, Riciclaggio e profitto confiscabile: la “solidarietà nella pena” nel concorso di persone, in Giur. it., 2018, 449.
L. Fornari, op. cit., 88.
A. Noceti, M. Piersimoni, Confisca e altre misure ablatorie patrimoniali, Torino, 2011, 113 ss.
La misura in esame si caratterizza, altresì, per la circostanza che in relazione ad alcune fattispecie criminose la confisca del profitto, a differenza di quanto previsto dall’art. 240, comma 1, c.p., è obbligatoria, e quindi sottratta alla scelta del giudice.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 41936 del 25.10.2005 – dep. 22.11.2005.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 38691 del 25.06.2009 – dep. 06.10.2009.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 38834 del 10.07.2008 – dep. 15.10.2008; Cass., Sez. un., Sentenza n. 26654 del 27.03.2008 – dep. 02.07.2008.
P. Balducci, La confisca per equivalente, in Dir. pen. proc., 2011, 230.
P. Balducci, op. cit., 230; A. Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig., disc., pen., vol. III, Torino, 1989, 51.
P. Balducci, op. cit., 230; F. Vergine, op. cit., 39.
Recentemente introdotta dall’art. 2 d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202.
Recentemente introdotta dall’art. 4 d.lgs. 29 ottobre 2016, n. 202.
P. Balducci, La confisca per equivalente, cit., 230 ss.; G. Fiandaca, Legge penale e corruzione, in Foro it, 1998, 6; D. Fondaroli, op. cit., 263; S. Furfaro, La confisca per equivalente tra norma e prassi, in Giur. it., 2009, 2080; A. Gaito, Sequestro e confisca per equivalente. Prospettive d’indagine, in Giur. it., 2009; G. Lunghini, L. Musso, La confisca nel diritto penale. Rassegna monotematica del Corriere del Merito, Milano, 2009, 147; F. Vergine, op. cit., 44.
A eccezione dell’art. 644 c.p., il quale, in luogo della espressa previsione dell’applicazione della confisca per equivalente nei casi in cui non è possibile procedere a confisca diretta, dispone «la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari» (comma 6).
L. Puccetti, La confisca per equivalente, in Sequestro e confisca, a cura di M. Montagna, Torino, 2017, 415.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 30930 del 05.05.2009 – dep. 24.07.2009. La possibile precarietà di tale circostanza di fatto condiziona anche l’onere di motivazione del provvedimento cautelare, che deve essere limitato al richiamo della sia pur momentanea indisponibilità del bene, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attività volte alla ricerca dell’originario prodotto o profitto del reato (Cass., Sez. II, Sentenza n. 29923 del 12.04.2018 – dep. 03.07.2018).
Cass., Sez. un., Sentenza n. 18374 del 31.012013 – dep. 23.04.2013; Cass., Sez. II, Sentenza n. 2823 del 10.12.2008 – dep. 21.01.2009.
Cass., Sez. II, Sentenza n. 31988 del 14.06.2006 – dep. 27.09.2006. In dottrina: P. Balducci, La confisca per equivalente, cit., 231; L. Leghissa, sub art. 322-ter, in Codice penale, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, 1978.
La dottrina maggioritaria, invece, esclude che nel caso di confisca di valore possa parlarsi di nesso di pertinenzialità, pur richiedendo, come si è detto, che sia dimostrata ab origine l’esistenza di un bene o un’altra utilità economica tratta dal reato. Si è osservato che l’affievolimento del rapporto di pertinenzialità tra reato e bene, sposta inevitabilmente l’attenzione sul soggetto del reato, piuttosto che sul bene, perché il tantundem non ha altra connessione con il reato se non l’appartenere allo stesso soggetto che l’ha compiuto, con una logica simile a quella su cui si fondano la confisca di prevenzione e la c.d. confisca “allargata” (D. Fondaroli, op. cit., 258). In senso contrario, si ritiene che andrebbero esclusi dall’ablazione anche quei beni entrati nel patrimonio del reo in tempi precedenti rispetto al tempus commissi delicti o in base a una causa comprovata e lecita, che nulla abbia a che vedere con il reato. Pertanto, il nesso di pertinenzialità, seppur indubbiamente affievolito, non deve essere considerato totalmente irrilevante, poiché «in nessun caso potrebbe legittimamente prescindersi da una verifica in ordine alla illiceità, quanto meno presunta, della provenienza del bene» (A. Gaito, op. cit., 2067).
M. Pelissero, Commento alla L. 29 settembre 2000, n. 300, in Leg. Pen., 2001, 1021 ss.
F. Bottalico, Confisca del profitto e responsabilità degli enti tra diritto ed economia: paradigmi a confronto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 1732; D. Fondaroli, op. cit., 61. Che la voluntas legis non sia nel senso della operatività della confisca per equivalente anche con riferimento ai beni immateriali è escluso anche da chi sostiene l’applicabilità della predetta forma di ablazione in caso di impossibilità di disporre la confisca diretta per ragioni connesse alla natura stessa dei beni (L. Fornari, La confisca del profitto, cit., 86; M. Pelissero, Commento all’art. 3 l. 29 febbraio 2000, n. 300, in Leg. pen., 2001, 1027).
Cass., Sez. III, Sentenza n. 4887 del 13.12.2018 – dep. 31.01.2019; Cass., Sez. II, Sentenza n. 22153 del 22.02.2013 – dep. 23.05.2013; Cass., Sez. III, Sentenza n. 15210 del 08.03.2012 – dep. 20.04.2012; Cass., Sez. V, Sentenza n. 13276 del 24.01.2011 – dep. 30.03.2011; Cass., Sez. I, Sentenza n. 11732 del 09.03.2005 – dep. 24.03.2005. In dottrina: P. Balducci, La confisca per equivalente, cit., 231. Si è precisato che una interpretazione del concetto di disponibilità fondata sulla titolarità di un diritto produrrebbe conseguenze aberranti, in quanto limiterebbe eccessivamente l’operatività dell’istituto. Altrettanto aberranti sarebbero, però, anche le conseguenze derivanti da una opzione esegetica tale da ricomprendere nella nozione di disponibilità tutte le situazioni di fatto che conseguono alla titolarità di diritti reali o obbligatori sul bene che consentano al soggetto di disporre del bene medesimo, atteso che in questo caso si consentirebbe di disporre la confisca anche di beni altrui, sul mero presupposto della titolarità di un diritto obbligatorio (es. una locazione). Ne consegue, che l’interpretazione maggiormente aderente alla ratio dell’istituto, nonché ai principi costituzionali che vengono in rilievo, è quella fondata esclusivamente su criteri fattuali (M. Pelissero, op. cit., 1028).
Cass., Sez. III, Sentenza n. 14605 del 24.03.2015 – dep. 10.04.2015.
Cass., Sez. I, Sentenza n. 6613 del 17.012008 – dep. 12.02.2008.
Cass., Sez. II, Sentenza n. 13360 del 03.02.2011 – dep. 01.04.2011. Conformi: Cass., Sez. II, Sentenza n. 29495 del 10.06.2009 – dep. 16.07.2009; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 2688 del 19.10.1990 – dep. 30.01.1991.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 14605 del 24 marzo 2015; Cass., Sez. II, Sentenza n. 22153 del 22 febbraio 2013. Con riferimento all’onere probatorio incombente sulla pubblica accusa, la Corte di cassazione ha, altresì, precisato che «ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a persona estranea al reato, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo a quest’ultima, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del P.M., della disponibilità degli stessi da parte dell’indagato» (Cass., Sez. III, Sentenza n. 36530 del 12.05.2015 – dep. 10.09.2015).
Cass., Sez. II, Sentenza n. 10838 del 20.12.2006 – dep. 14.03.2007.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 14605 del 24.03.2015 – dep. 10.04.2015.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 45353 del 19.10.2011 – dep. 06.12.2011.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 6894 del 27.01.2011 – dep. 23.02.2011.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 18527 del 03.02.2011 – dep. 11.05.2011.
Cass., Sez. V, Sentenza n.13276 del 24.01.2011 – dep. 30.03.2011.
M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv., it., dir. proc. pen., 2015, 1674 ss.
In considerazione di ciò, l’autore auspica un intervento del legislatore che – in linea con la nozione estesa di materia penale affermatasi, sull’impronta della giurisprudenza europea, nel nostro ordinamento – neghi l’applicazione retroattiva della confisca tradizionale, analogamente a quanto già avviene con riferimento all’ablazione di valore.
E. Nicosia, La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Torino, 2012, 151 ss.; A. Marcheselli, Tecniche di aggressione dei profitti dell’economia fiscalmente infedele: la confisca “penale” tra efficacia preventiva e tutela dei diritti fondamentali, in Riv. Dir. pen. cont., 2015, 6 ss.
R. Bartoli, Brevi considerazioni in tema di confisca del profitto, in Riv. Dir. pen. cont., 2016, 9.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 31617 del 26.06.2015– dep. 21.07.2015.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno, in plurime occasioni, precisato che «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato» (Cass., Sez. un., Sentenza n. 31617 del 26.06.2015 – dep. 21.07.2015; Cass., Sez. un., Sentenza n. 10561 del 30.01.2014 – dep. 05.03.2014). Invero, sembra maggiormente convincente la tesi, sostenuta da autorevole dottrina, secondo cui il denaro non esorbita affatto dalla confisca di valore, come si evince agevolmente sin dalla prima disposizione che le ha dato ingresso nel nostro ordinamento (art. 644, comma 6 c.p.), nella quale l’oggetto della misura è individuato in “somme di denaro, beni o utilità” di pari importo al prezzo o al profitto del reato. Contrariamente al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, quindi, dovrebbe riconoscersi che il denaro, proprio in quanto parametro di valutazione unificante del valore dei differenti beni (come affermato dalle stesse Sezioni Unite), meglio si presti, rispetto ad altri beni, a fungere da efficace strumento di equalizzazione del valore dei proventi del reato non più attingibili dalla confisca diretta (M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv., it., dir. proc. pen., 2015, 1677).
P. Balducci, op. cit., 231 ss.; P. Balducci, Concorso di persone nel reato e confisca per equivalente, in Cass. pen., 2010, 3109 ss.; S. Furfaro, Confisca per equivalente, responsabilità degli enti e parametri operativi, in Giur. it., 2007, 974; S. Furfaro, La confisca per equivalente tra norma e prassi, cit., 2080; A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni, cit., 147.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 39172 del 24.09.2008 – dep. 20.10.2008; Cass., Sez. III, Sentenza n. 39173 del 24.09.2008 – dep. 20.20.2008; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 13098 del 18.02.2009 – dep. 25.03.2009; Cass., Sez. V, Sentenza n. 11288 del 26.01.2010 – dep. 24.03.2010; Cass., Sez. I, n. 11768 del 28.02.2012 – dep. 29.03.2012; Cass., Sez. II, n. 21027 del 13.05.2010 – dep. 04.06.2010; Cass., Sez. II, Sentenza n. 11912 del 29.01.2009 – dep. 18.03.2009; Cass., Sez. un., Sentenza n. 26654 del 27.03.2008 – dep. 02.07.2008.
Corte cost., ordinanza n. 97 del 01.04.2009.
Corte UDU, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 17546 del 05.03.2019 – dep. 24.04.2019; Cass., Sez. I, Sentenza n. 39874 del 06.06.2018 – dep. 04.09.2018; Cass., Sez. II, Sentenza n. 45324 del 14.10.2015 – dep. 13.11.2015; Cass., Sez. III, Sentenza n. 43397 del 10.09.2015 – dep. 28.10.2015; Cass., Sez. un., Sentenza n. 38691 del 25.06.2009 – dep. 06.10.2009; Cass., Sez. II, Sentenza n. 31988 del 14.06.2006 – dep. 27.09.2006; Cass., Sez. un., Sentenza n. 41936 del 25.10.2005 – dep. 22.11.2005; Cass., Sez. V, Sentenza n. 15445 del 16.01.2004 – dep. 01.04.2004.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 18374 del 31.012013 – dep. 23.04.2013.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 18374 del 31.012013 – dep. 23.04.2013; Cass., Sez. V, Sentenza n. 11288 del 26.01.2010 – dep. 24.03.2010; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 13098 del 18.02.2009 – dep. 25.03.2009; Cass., Sez. III, Sentenza n. 39172 del 24.09.2008 – dep. 20.10.2008; Cass., Sez. II, Sentenza n. 21566 del 08.05.2008 – dep. 28.05.2008.
Corte cost., ordinanza n. 97 del 01.04.2009.
Cass., Sez. VI, Sentenza n. 26621 del 10.04.2018 – dep. 11.06.2018; Cass., Sez. III, Sentenza n. 40358 del 05.07.2016 – dep. 28.09.2016; Cass., Sez. III, Sentenza n. 27072 del 12.05.2015 – dep. 26.06.2015; Cass., Sez. II, Sentenza n. 38599 del 20.09.2007 – dep. 18.10.2007; Cass, Sez. II, Sentenza n. 9786 del 21.02.2007 – dep. 08.03.2007; Cass., Sez. II, Sentenza n. 10838 del 20.12.2006 – dep. 14.03.2007; Cass. Sez. II, Sentenza n. 31989 del 14.06.2006 – dep. 27.09.2006.
Cass., Sez. II, Sentenza n. 22020 del 10.04.2019 – dep. 20.05.2019; Cass., Sez. II, Sentenza n. 29395 del 26.04.2018 – dep. 26.06.2018.
Cass., Sez. VI, Sentenza n. 30966 del 14.06.2007 – dep. 30.07.2007; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 31690 del 05.06.2007 – dep. 02.08.2007; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 25877 del 23.06.2006 – dep. 25.07.2006.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 26654 del 27.03.2008 – dep. 02.07.2008. Lo stesso principio è stato ribadito in alcune successive pronunce (Ex multis, Cass., Sez. VI, Sentenza n. 18536 del 06.03.2009 – dep. 05.05.2009; Cass., Sez. VI, Sentenza n. 34566 del 22.05.2014 – dep. 06.08.2014), secondo le quali in caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322-ter c.p., può disporsi la confisca per equivalente di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato e il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso, e ciò perché il sequestro preventivo non può avere un ambito più vasto della futura confisca.
In ordine al tema relativo all’estensione dell’ambito di applicazione della disposizione in esame, L. Capriello, Confisca urbanistica e prescrizione del reato presupposto: le Sezioni unite chiariscono la portata applicativa del principio (ri)affermato da Corte EDU, G.I.E.M. c. Italia, in Cass. Pen., 2020, 4041 ss.
Cass., Sez. II, Sentenza n. 19645 del 02.04.2021 – dep. 18/05/2021. Conformi: Cass., Sez. VI, Sentenza n. 14041 del 09.01.2020 – dep. 07.05.2020; Cass., Sez. III, Sentenza n. 8785 del 29.11.2019 – dep. 04.03.2020.
Cass., Sez. III, Sentenza n. 15655 del 02.02.2022 – dep. 22.04.2022; Cass., Sez. III, Sentenza n. 12236 del 21.01.2022 – dep. 04.03.2022; Cass., Sez. III, Sentenza n. 7882 del 21.01.2022 – dep. 04.03.2022; Cass., Sez. III, Sentenza n. 39157 del 07.09.2021 – dep. 29.10.2021; Cass., Sez. III, Sentenza n. 20793 del 18.03.2021 – dep. 26.05.2021.
Corte cost., ordinanza n. 97 del 01.04.2009.
Cass., Sez. un., Sentenza n. 18374 del 31.012013 – dep. 23.04.2013; Cass., Sez. un., Sentenza n. 10561 del 30.01.2014 – dep. 05.03.2014; Cass., Sez. un., Sentenza n. 31617 del 26.06.2015 – dep. 21.07.2015.
Corte cost., sentenza n. 32 12.02.2020.
Cita come: L. Capriello, Il regime di applicabilità dell’art. 578-bis c.p.p. in rapporto alla natura della confisca per equivalente, in Rivista di Diritto Penale di Impresa 1/2022, 27-53. DOI: 10.35948/RDPI/2022.9
Data proposta | Data validazione | Data pubblicazione |
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01/11/2022 | 15/11/2022 | 29/11/2022 |
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