Nota a sentenza Accesso open access Data pubblicazione: 18/12/2022
Data pubblicazione: 18/12/2022

Amministratore di fatto e principio di effettività nel diritto penale tributario. Riflessioni su alcune incoerenze ermeneutiche della giurisprudenza della Corte di Cassazione

Abstract

La Corte di Cassazione, con la sentenza in rassegna, ha confermato l’applicabilità della disciplina dell’amministratore di fatto ex art. 2639 del codice civile anche al settore del diritto penale tributario, in virtù di un’interpretazione estensiva che vede il principio di effettività, ivi desumibile, come un principio generale valevole per l’intero diritto penale economico. Come effetto del principio di diritto ivi stabilito, la S.C. rimette al giudice di merito il compito di valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione di fatto, dei singoli poteri in concreto esercitati. Partendo dalla sentenza in esame, il contributo si propone di evidenziare le problematiche connesse alla continua espansione del richiamo al principio di effettività, ponendo in evidenza alcune contraddizioni ermeneutiche interne alla Corte di Cassazione, che mostrano come il principio testé citato non venga applicato in maniera eguale.
Parole chiave: Amministratore di fatto, Principio di effettività, Art. 2639 c.c., Principio legalità


The Court of Cassation, in the judgment under review, has confirmed the applicability of the regulations governing de facto administrator, as set forth in Article 2639 of the Civil Code, to the realm of tax criminal law. This affirmation is grounded in an expansive interpretation that recognizes the principle of effectiveness as a general precept applicable to the entirety of economic criminal law. As a result of the legal principle established in the aforementioned judgement, the Supreme Court has tasked lower courts with evaluating the significance of individual powers actually exercised, for the purpose of determining the attribution of the de facto qualification or function. Starting from the judgment under review, the contribution aims to highlight the issues arising from the continued expansion of the invocation of the principle of effectiveness, pointing out some hermeneutical contradictions inside the Supreme Court, which shows that it does not apply the above-mentioned principle in the same way.
Key words: De facto administrator, Principle of effectiveness, Art. 2639 civil code, Principle of legality

1. L’oggetto della sentenza

Con la sentenza n. 34381/20221 la seconda Sezione della Corte di Cassazione penale ha affrontato, con incisiva sebbene sintetica argomentazione, due temi che hanno animato il dibattito in dottrina e in giurisprudenza negli ultimi anni.

Il primo riguarda l’estensibilità della qualifica soggettiva dell’amministratore di fatto ex art. 2639 c.c. ai reati tributari disciplinati dal d.lgs. 74/2000, e quindi la possibilità che anche colui che non riveste formalmente alcuna qualifica nella compagine societaria possa rendersi autore delle fattispecie criminose ivi contemplate.

Per quanto concerne il secondo aspetto, il Collegio ha esaminato quali siano le caratteristiche e i requisiti che determinano la qualifica di amministratore di fatto, ai fini dell’attribuzione della penale responsabilità per fatti di reato tributario.

Nel caso concreto, la Suprema Corte è stata chiamata a sindacare la legittimità di un’ordinanza cautelare del Tribunale di Milano (adito ex art. 310 c.p.p. su appello del P.M.), con cui era stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di intestazione fraudolenta di valori ex art. 512bis c.p. ed emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000. Gli indici probatori su cui si fondava l’applicazione di predetta misura cautelare portavano a ritenere amministratore di fatto il soggetto sottoposto a misura coercitiva della società emittente fatture per operazioni inesistenti, in quanto «consapevole organizzatore di peculiari modalità operative della società in termini illeciti»2.

Particolarmente interessante è la ricostruzione proposta dalla Suprema Corte a sostegno dell’applicabilità della misura cautelare al soggetto “extraneus”, poiché ritenuto amministratore di fatto della società beneficiaria delle condotte fraudolente compiute da quest’ultimo per ottenere indebiti vantaggi fiscali (reati tributari che rappresentano quattro dei cinque reati contestati al soggetto sottoposto a misura cautelare).

Primus movens del ragionamento degli Ermellini è costituito dal dato normativo.

L’art. 2639, inserito nel codice civile con la riforma del Titolo XI operata dal d.lgs. 61/2002, il quale, sotto la rubrica «estensione delle qualifiche soggettive», ha legalmente disciplinato la responsabilità penale per i reati societari di quei soggetti che, seppur sprovvisti di qualifica formale all’interno della compagine societaria, svolgano «in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione».

Si tratta di norma inserita formalmente nel codice civile e riferita al catalogo dei reati societari appartenenti al medesimo titolo. Tuttavia, questo formalismo topografico è stato superato sin dai primi commentatori che, ritenendo l’art. 2639 c.c. espressione di un principio generale, ne hanno ritenuto esportabile il precetto ad altri settori dell’ordinamento3: tale impostazione è stata accolta ampiamente dalla giurisprudenza maggioritaria4.

Quindi, in presenza di un soggetto che, seppur formalmente estraneo all’organigramma societario, svolga in modo continuativo e significativo poteri tipici gestori, questi potrà essere chiamato a rispondere di un’ampia gamma di reati riconducibili alla figura dell’amministratore di diritto: reati societari (ca va sans dire) ma anche reati fallimentari nonché reati tributari.

La sentenza de qua non si allontana dall’impostazione testé citata, anzi, la rende propria, richiamando una pluralità di precedenti giurisprudenziali in relazione alla materia fallimentare5 – in realtà poco conferenti con il thema controversus – fino a confermarla anche in relazione ai reati tributari.

Inoltre, ai fini dell’attribuzione al soggetto della qualifica di amministratore di fatto, la Corte afferma che «non occorre l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale»6.

Dunque, la Corte di Cassazione, onde confermare la correttezza dell’accertamento svolto dal giudice di appello in relazione all’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari a carico dell’imputato, ha enunciato il seguente principio di diritto:

«Ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati».



2. Il perimetro applicativo dell’art. 2639 c.c.: l’esercizio dei poteri di fatto e il sindacato del giudice del merito

Secondo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza testé citata, spetta al giudice del merito - nell’esercizio del suo prudente apprezzamento - la valutazione della pregnanza dei singoli poteri in concreto esercitati dall’amministratore di fatto, al fine di decidere se quest’ultimo possa esser o meno chiamato a rispondere dell’illecito penale contestato.

A giustificazione e fondamento normativo di questa interpretazione nomofilattica è stata richiamata la portata espansiva dell’art. 2639 c.c. applicabile, ad avviso della Suprema Corte, anche al settore penal - tributario.

Pur non ripercorrendo il corposo dibattito che impegnò la dottrina prima dell’introduzione dell’art. 2639 c.c.7, si evidenzia che l’inserimento della norma in questione nel codice civile ha avuto il pregio di segnare i confini della figura dell’amministratore di fatto, superando le incertezze che avevano impegnato il dibattito ermeneutico sul punto.

Segnatamente, affinché un soggetto possa esser ritenuto amministratore di fatto di una società, è necessaria la sussistenza dei seguenti requisiti: a) esercizio dei poteri tipici dell’amministratore di diritto; b) esercizio continuativo dei poteri tipici dell’amministratore di diritto; c) esercizio significativo dei poteri tipici dell’amministratore di diritto.

Parte della dottrina8, con buone ragioni, ha richiamato alla necessità che i criteri appena menzionati debbano essere applicati in maniera rigorosa.

Pertanto, quandanche vengano esercitati tutti i poteri tipici dell’amministratore di diritto o soltanto alcuni di essi9, ai fini dell’operatività dell’art. 2639 c.c. è necessario che la condotta dell’amministratore di fatto si traduca «nell’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria in modo non episodico od occasionale»10.

Ciò posto, si evidenzia che lasciare eccessivo spazio interpretativo al giudice del merito nel valutare, nel caso concreto, “la pregnanza”, ai fini dell’attribuzione della qualifica, dei singoli poteri in concreto esercitati (valutazione insindacabile in sede di legittimità se sostenuta da congrua e logica motivazione)11 possa aver ricadute sulla legalità della legge penale.

Sebbene sia solo il giudice del fatto di reato a essere dotato di strumenti idonei a verificare il continuo e significativo esercizio dei poteri tipici dell’amministratore di diritto anche da parte di un soggetto non formalmente investito, non ci si può esimere dal rilevare come la giurisprudenza di legittimità si astenga dal fornire parametri oggettivi rispetto ai quali il giudice di merito debba compiere questa valutazione.

A fortiori, la criticità appena evidenziata assume maggior vigore se si considera che la figura dell’amministratore di fatto - inserita formalmente nel corpus normativo dedicato ai reati societari - viene diffusamente quanto pacificamente applicata anche a settori differenti, dove tale figura non è expressis verbis contemplata, in particolar modo, al settore del diritto penale tributario, attraverso un estensivo ricorso al c.d. principio di effettività.

Si evidenzieranno, pertanto, nella parte conclusiva del contributo, alcune incoerenze ermeneutiche interne alla Corte di Cassazione derivanti dall’applicazione estensiva di tale principio al diritto penal-tributario.



3. Il principio di effettività nel diritto penale economico e la sua estensione al contesto del d.lgs. 74/2000. Criticità interpretative

Il diritto penale economico è caratterizzato da un leit motiv di fondo: la “prevalenza della sostanza sulla forma”.

Beninteso, il sistema sanzionatorio nel settore di elezione non si limita a reprimere le condotte dei soggetti investiti di una qualifica (solamente) formale ma tende ad andare oltre tale dato per non subirne i limiti, onde evitare eccessivi slittamenti di responsabilità verso soggetti materialmente estranei al fatto di reato.

In aggiunta, la prevalenza della sostanza sulla forma non è solo espressione di un’avvertita esigenza di giustizia sociale, ma si attesta come corollario del principio di personalità della sanzione penale di cui all’art. 27 Cost. in forza del quale l’ordinamento ripudia ogni forma di responsabilità per fatto altrui. Trattasi di un’impostazione accolta non solo dal nostro sistema giuridico12 ma anche, tra gli altri, dall’ordinamento tedesco, dove già dall’inizio del ‘900 si ammetteva la necessità di punire l’amministratore di fatto, pur in assenza di espressa previsione normativa, nel rispetto del «sano sentimento popolare» (gesundes Volksempfinden)13.

Quanto detto sinora trova concreta esplicitazione nel c.d. principio di effettività in virtù del quale, nell’esercizio del sindacato sulla responsabilità penale, occorre guardare non solo alle cariche formali assunte nel contesto della corporation ma anche ai comportamenti tenuti nell’esercizio di fatto di una determinata funzione nell’impresa e, quindi, a chi li ponga in essere14.

Suddetto principio ha trovato esplicita previsione normativa in plurimi contesti del diritto penale economico. Difatti, oltre al già menzionato art. 2639 c.c. in tema di reati societari, vi sono: l’art. 299 del d.lgs. 81/200815 in materia di sicurezza sul lavoro; l’art. 135 del Testo unico bancario ex d.lgs. 385/1993 che richiama esplicitamente il titolo XI del codice civile (ergo anche il principio di effettività ex art. 2639); l’art. 5 del decreto legislativo 231 che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, estende la responsabilità dell’ente anche ai fatti commessi da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.

Se dunque la materia è costellata da normativizzazioni del principio di effettività, a fare eccezione, per quanto di interesse, è proprio il diritto penale tributario: donde il contestato difetto di legalità.

Il d.lgs. 74/2000, infatti, non presenta alcuna disposizione che, expressis verbis, estenda a soggetti che svolgano di fatto mansioni apicali una o più delle responsabilità penali derivanti dallo svolgimento in concreto di funzioni gestorie.

Per far fronte a questo silenzio normativo, la logica giuridica offre l’utilizzo di due strumenti: (i) il ragionamento “a contrariis” (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit); (ii) quello opposto “per similitudine” (ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio).

Col primo ragionamento si giungerebbe a escludere la punibilità dell’amministratore di fatto nella materia penal-tributaria.

Col secondo argomento, invece, una volta riconosciuto al principio di effettività quella portata generale ut supra,potrebbe affermarsi che, sebbene il silenzio del legislatore penal-tributario, esso operi anche in tale contesto. A detto esito si arriva usando le argomentazioni proprie dell’indirizzo teleologico, quello cioè che tende a interpretare le norme valorizzandone soprattutto lo scopo, entro il limite del divieto di analogia.

In tale ultima prospettiva, ispirata a ragioni di giustizia sostanziale, sarebbe “ingiusto” e iniquo non condannare l’autore materiale del reato, a discapito di c.d. prestanomi (amministratori di diritto) che hanno ben poco a che fare con l’effettiva gestione della società, specialmente nell’ambito di operazioni fraudolente dal punto di vista fiscale che hanno come precipuo scopo l’ottenimento di indebiti vantaggi d’imposta16.

Invero, la giurisprudenza di legittimità ha cercato di ancorare tale applicazione estensiva a un dato normativo che consentisse di giustificare la responsabilità dell’amministratore di fatto, seppur con argomentazioni che non hanno convinto appieno una parte della dottrina17, giustificando in tal modo la portata estensiva dell’art. 2639 c.c.

In definitiva, secondo la giurisprudenza della S.C. l'amministratore di fatto risponde quale autore principale del reato tributario, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta18.

Appare evidente che, in virtù di tale principio generale, la Corte di Cassazione ritiene che il soggetto “non qualificato” non solo possa rispondere degli illeciti tributari a lui ascritti, ma ne risponde in qualità di autore principale del reato, salva l’eventuale compartecipazione di intranei secondo le regole del concorso di persone nel reato19.

Detto diversamente, secondo l’opinione dominante nella giurisprudenza di legittimità20, il soggetto qualificato, vero destinatario dell’obbligazione tributaria, non è il prestanome, ma colui che gestisce di fatto la società, mentre l’estraneo è l’amministratore di diritto, la “testa di paglia”, il quale risponderà ex art. 110 c.p. del reato commesso dall’amministratore di fatto per non aver adempiuto a quegli obblighi di vigilanza che gravano sul soggetto legalmente inserito all’interno della compagine societaria e che avrebbero permesso, qualora effettivamente adempiuti, di impedire l’illecito perpetrato dall’amministratore occulto21.

Questo notevole ampliamento della figura dell’amministratore di fatto ha coinvolto anche fattispecie di reato c.d. omissive proprie esclusive, quali ad esempio quella prevista dall’art. 5 del d.lgs. 74/2000 che punisce, com’è noto, la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dei soggetti a questi tenuti22.

Incidentalmente ci si limita a osservare che, potendo annoverare l’omessa dichiarazione fra i c.d. reati omissivi propri esclusivi23, ne deriverebbe che la fattispecie de qua potrebbe essere materialmente commessa soltanto dal soggetto che legalmente dovrebbe compiere l’azione doverosa (e lo si punisce, appunto, per non averla adempiuta). In altri termini, stando al tenore letterale della norma in esame, dovrebbe esser punito per il reato ivi previsto quel soggetto che, avendo la rappresentanza legale dell’ente, è chiamato a presentare la dichiarazione rilevante ai fini delle imposte. Al contrario, proprio facendo leva sulla portata generale dell’art. 2639 c.c., la giurisprudenza è giunta a riconoscere la responsabilità per omessa presentazione della dichiarazione dei tributi anche a un soggetto formalmente estraneo alla compagine societaria, che risponde del reato quale autore principale in quanto effettivo titolare della gestione sociale e nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta, mentre l’amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponde per omesso impedimento dell’evento ex art. 40, secondo comma, c.p. a titolo di concorso24.

In buona sostanza la giurisprudenza, al fine di riconoscere la responsabilità penale tributaria del soggetto non inserito nell’organigramma societario, anziché ricorrere a quella figura ormai consolidata del diritto penale generale che riguarda il concorso dell’extraneus nel reato proprio altrui25, ha individuato un nuovo titolare di una posizione di garanzia non normativamente nominato, chiamato a rispondere del reato quale autore principale dell’illecito pur non facendo formalmente parte della corporation, per il solo fatto dell’avvertita esigenza di punire un soggetto che si ritiene detenere la sostanziale gestione della società26.

Orbene, quandanche si ritenesse l’art. 2639 c.c. principio generale dell’ordinamento, ferma restando la sostanziale esigenza di punire l’autore materiale della condotta, si ritiene che l’assenza di un esplicito riferimento normativo nel d.lgs. 74/2000 che ne legittimi l’applicazione estensiva rischia di esporre il fianco a frizioni di legalità costituzionale se ciò comporta la creazione di nuove posizioni di garanzia che non trovano alcuna esplicitazione normativa nel contesto di riferimento.



4. Osservazioni conclusive e spunti di riflessione

La sentenza in commento, muovendosi nel solco di plurimi arresti della giurisprudenza di legittimità che è intervenuta sulla portata applicativa dell’art. 2639 c.c., ha di nuovo riconosciuto la responsabilità dell’amministratore di fatto quale autore principale dell’illecito penal-tributario, assegnando al giudice di merito il compito (arduo) di verificare nel caso concreto i poteri effettivamente esercitati dal soggetto “non legalmente qualificato”, al fine di valutare la rilevanza penale della sua condotta.

Con l’intento di valorizzare il principio di effettività (rectius, prevalenza della sostanza sulla forma), si sta assistendo a una potenziale compressione di ulteriori principi fondamentali del diritto penale, quale quello di legalità e dei suoi corollari di tassatività e determinatezza. Tali problematiche risultano di assoluta evidenza in un settore tanto complesso quanto delicato quale quello del diritto penale tributario, dove il bene giuridico tutelato è quello della potestà dello Stato alla effettiva riscossione dei tributi, al fine di prevenire comportamenti fraudolenti, infedeli, omissivi da parte dei soggetti contribuenti (individuali o collettivi che siano). Difatti, è proprio in questo settore che la portata estensiva dell’art. 2639 c.c. ha un maggiore impatto, in quanto, secondo attenta dottrina, vi è il rischio della creazione giurisprudenziale di nuove posizioni di garanzia "innominate" in spregio ai profili garantistici di stretta legalità che dovrebbero governare la materia penale27.

Eppure la stessa Corte di Cassazione mostra di usare in modo diverso i criteri sopra descritti nella soluzione di un’altra questione: il riferimento è al prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità circa l’inapplicabilità dell’istituto della delega di funzioni all’ambito penal-tributario28.

Proprio rispetto a questo tema, la S.C. ha ribadito in plurime occasioni29 che l’affidamento a un professionista dell’incarico di presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione, in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere30.

Sicché, pare quantomeno singolare che, a fronte di due diverse applicazioni concrete in relazione al medesimo tema, la giurisprudenza attraverso un’interpretazione “estensiva” permetta dapprima all’amministratore di fatto di rispondere dell’illecito, anche nel caso di un reato omissivo proprio esclusivo, pur non essendo questi il titolare legale della funzione (ergo, dell’adempimento tributario) e, al contempo, valorizzando il dato legale, escluda che la delega delle funzioni tributarie possa esonerare da responsabilità il soggetto delegante.

In definitiva, la contraddizione in cui si ritiene cada la giurisprudenza di legittimità può essere riassunta in questi termini: da un lato si valorizza la natura di reato proprio esclusivo del l’illecito tributario al fine di giustificare l’indelegabilità della funzione tributaria; dall’altro, sacrificando proprio l’esclusività soggettiva del reato tributario, la stessa giurisprudenza sostiene che l’amministratore di fatto possa esserne autore principale.

A parere di chi scrive è dunque il caso di evidenziare l’incoerenza di tali indirizzi ermeneutici, in quanto con le suddette pronunce - in ossequio a un’impostazione formalista - si valorizza la peculiarità del settore tributario, ritenendo l’obbligazione tributaria come personale e facente capo esclusivamente al titolare legale delle funzioni; tuttavia tale formalismo viene disconosciuto allorquando si ritiene doveroso chiamare a responsabilità l’amministratore di fatto, pur in assenza di un’espressa previsione normativa che estenda a quest’ultimo le incombenze proprie dell’amministratore di diritto.

Ciò posto, sarebbe opportuno giungere a un’impostazione unitaria, in ragione di una necessaria esigenza di coerenza interna al sistema, statuendo in maniera chiara e definitiva se valorizzare il dato legale-formale oppure quello funzionalistico-sostanziale.

Orbene, alla luce delle criticità segnalate, potrebbe rivelarsi utile, a latere delle difformi interpretazioni della Corte di Cassazione, un intervento del legislatore sul decreto legislativo 74 del 2000 che introduca il principio di effettività anche alla materia penal - tributaria, definendo in tal modo i contorni della responsabilità dell’amministratore di fatto in questo contesto, ricco di peculiarità e sicuramente non sovrapponibile ad alcun altro ramo del microcosmo del diritto penale economico.



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Bibliografia

Note
  • 1

    Cass. pen., Sentenza n. 34381 del 01/06/2022 - dep. 16/09/2022.

  • 2

    Ibid., p. 3.

  • 3

    Fra gli altri, E. M. Ambrosetti - E. Mezzetti - M. Ronco, Diritto penale dell’impresa, Modena, 2012, 39; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, leggi complementari, Vol. II, Milano, 2018, 207; R. Bricchetti - L. Pistorelli, La bancarotta e altri reati fallimentari, Milano, 2017, 21.

  • 4
    Ad esempio, in tema di reati fallimentari, fra le tante Cass. pen. n. 14531 del 14/12/2016, dep. 24/03/2017; Cass. pen. 12841 del 3/02/2022 dep. 5/04/2022; Cass. pen. 4865 del 25/11/2021 dep. 10/02/2022. Per quanto riguarda i reati tributari, vedasi, oltre la sentenza oggetto di commento in questo contributo, Cass. pen. 36556 del 24 maggio 2022 dep. 27/09/2022; Cass. pen. n. 31174 del 07/06/2022 dep. 29/08/2022.
  • 5

    Cass. pen. 7437 del 15/10/2020 dep. 25/02/2021.

  • 6

    Recependo una posizione già espressa dalla giurisprudenza di legittimità in plurime occasioni: vedasi Cass. pen. 22108 del 19/12/2014 dep. 27/05/2015; Cass. pen. 35346 del 20/06/2013 dep. 22/09/2013; Cass. pen. n. 43388 del 17/10/2005 dep. 30/11/2005.

  • 7

    Ci si riferisce alla contrapposizione fra teoria formalistica e teoria realistico - funzionale. Ampiamente sul tema C. Pedrazzi, Gestione d’impresa e responsabilità penali, in Riv. Società, 1962; V. Napoleoni, Art. 2639, in G. Bonfante - D. Corapi - L. De Angelis - R. Rordorf - V. Salafia, Codice commentato delle società, Milano, 2011; F. Tripodi, Art. 2639, in AA.VV., Disposizioni penali in materia di società, di consorzi e di altri enti privati, a cura di A. Perini, in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Bologna, 2018; L. La Spina, art. 2639 - Estensione delle qualifiche soggettive, in A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Il diritto penale dell’economia in trasformazione, Milano, 2020, 236.

  • 8

    C. Santoriello, Amministratore di fatto responsabile per il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, in Il fisco, 2015, 27, 2673 (nota a sentenza). 

  • 9

    Ad avviso della Giurisprudenza di legittimità, «significatività» e «continuità» non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. Sul punto vedasi Cass. pen. n. 43388 del 17/10/2005, dep. 30/11/2005; Cass. pen. n. 36556 del 24/05/2022; dep. 27/09/2022.

  • 10

    Così da ultimo Cass. pen. n. 19874 del 18/02/2022, dep. 20/05/2022.

  • 11

    Cass. pen. 45134 del 27/06/2019, dep. 6/11/2019; Cass. pen. 22108 del 19/12/2014, dep. 27/05/2015; Cass. pen. 35346 del 20/06/2013, dep. 22/08/2013.

  • 12

    Ex altriis, O. Di Giovine, L’estensione delle qualifiche soggettive (art. 2639), in I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di A. Giarda, S. Seminara, Padova, 2002.

  • 13

    Espressione riportata da G. Marra, La responsabilità penale dell’amministrazione di fatto: un excursus critico sull’esperienza della RFT, in Studi Urbinati, A - Scienze Giuridiche, Politiche Ed Economiche, 51, 2, 2001, 125-167.

  • 14

    Cass. pen. n. 10704 del 7/02/2012 dep. 19/03/2012.

  • 15

    A mente del quale «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti». Ampiamente sul tema vedasi A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa, Diritto penale dell’economia, tomo I, Assago, 2019, 1460.

  • 16

    Preme ricordare che, in virtù dell’art. 27 Cost. (principio di personalità), l’ordinamento costituzionale ripudia la responsabilità per fatto di reato altrui.

  • 17

    Ad esempio attraverso il richiamo all’art. 1, comma 4, del d.p.r. n. 322/1998 il quale prevede che in mancanza di un amministratore di diritto è ammessa la sottoscrizione della dichiarazione fiscale da parte dell’amministratore di fatto. Sul punto E. Amati - M. Belli, Responsabilità dell’amministratore di fatto per il reato di omessa dichiarazione dei redditi, in Archivio Penale, 1, 2012.

  • 18

    Mentre l'amministratore di diritto, poiché mero prestanome, è responsabile del medesimo reato a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 c.c., a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice; cfr. ex multis, Cass. pen. n. 8632 del 22/12/2020, dep. 3/03/2021; Cass. pen. n. 38780 del 14/05/2015 - dep. 24/11/2015; Cass. pen. 1722 del 25/09/2019 - dep. 17/01/2020.

  • 19

    Cass. pen. 23425 del 10/06/2011; Cass. Pen. n. 31906/2017 con nota di C. Beccalli, Conferme sulla punibilità penale dell’amministratore o titolare di fatto – commento, in Il fisco, 34, 2017, 3269.

  • 20

    Fra le altre, Cass. pen. n. 23425/2011 con nota di F. Consulich, Poteri di fatto ed obblighi di diritto nella distribuzione delle responsabilità penali societarie - il commento, in Le Società, 5, 2012, 553.

  • 21

    Cass. pen. 2137/2001, ma anche Cass. pen. 8271/1992 e Cass. pen. 22919/2006 le quali hanno affermato: «L’amministratore di diritto di una società, ancorché sia un mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito come amministratori di fatto, risponde del reato omissivo contestato quale diretto destinatario degli obblighi di legge, poiché la semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri, anche di vigilanza e di controllo, la cui violazione comporta responsabilità penale».

  • 22

    Per un approfondimento sul tema vedasi C. Beccalli, Conferme sulla punibilità, cit.; E. Dolcini - G. Gatta, Codice penale commentato, Tomo IV, Assago, 2021, 1802 e ss.; A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa, Diritto penale dell’economia, tomo I, cit.; E. Amati - M. Belli,Responsabilità dell’amministratore di fatto, cit.

  • 23

    È lo stesso art. 5 d.lgs. 74/2000 ad affermare «È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila». Tale obbligo, dunque, incombe direttamente sul contribuente e, in caso di persone giuridiche, su cui ne abbia la legale rappresentanza, è tenuto a sottoscrivere la dichiarazione a pena di nullità. Da qui, la possibilità di ritenere tale reato annoverabile fra i cd. delitti di mano propria. Posizione richiamata, tra gli altri, da E. Amati-M. Belli, Responsabilità dell’amministratore di fatto, op. cit.

  • 24

    Cass. pen. 42897/2018, richiamata anche da C. Santoriello, Responsabilità del prestanome per il reato di omessa dichiarazione: occorre dimostrare il dolo specifico – commento, in Il fisco, 37, 2022, 3569.

  • 25

    Per un approfondimento sul tema R. Zannotti, Il nuovo diritto penale dell’economia, Milano, 2012, 27.

  • 26

    Cass. pen. 23245 del 10/06/2011; Cass. pen. 42897/2018.

  • 27

    E. Amati - M. Belli, Responsabilità dell’amministratore di fatto, cit., 15.

  • 28

    Interessante sul punto, il contributo di E. Scaorina, La delega di funzioni in materia tributaria tra dogmi e principi fondamentali del diritto penale, in Dir. pen. cont., 4, 2017.

  • 29

    Ci si riferisce a Cass. pen. n. 4973 del 13/01/2022 - dep. 11/02/2022; Cass. pen. n. 18845 del 13/04/2016 - dep. 05/05/2016.

  • 30

    Per un contributo sul tema si segnala V. Rochira, La delega di funzioni tributarie: ancora l’impasse tra la non delegabilità dell’obbligo dichiarativo e la necessità di accertamento del dolo specifico consistente nel fine di evadere l’imposta, in ForoNews, www.foroitaliano.it, 03/03/2022; e ancora V. Rochira - S. Nanni, La delega di funzioni, Milano, 2020, 245.

Informazioni

Cita come: L. Di Pede, Amministratore di fatto e principio di effettività nel diritto penale tributario. Riflessioni su alcune incoerenze ermeneutiche della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Rivista di Diritto Penale di Impresa 1/2022, 95-107. DOI: 10.35948/RDPI/2023.14

Data propostaData validazioneData pubblicazione
01/12/202206/12/2022 18/12/2022

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